L’assoluzione dal delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi, sulla base della rilevazione della grossolanità della contraffazione, esclude che i beni possano essere qualificati come di provenienza illecita e che quindi possano essere oggetto di ricettazione
Un oggetto ‘grossolanamente’ falsificato non può definirsi contraffatto sicché la sua ricezione non integra il delitto di ricettazione. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18190/2020 pronunciandosi sul ricorso presentato da un uomo assolto in primo grado dal reato previsto dall’art. 474 del codice penale (introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi) – avendo il Tribunale ritenuto la grossolanità della contraffazione – ma riconosciuto responsabile in appello di ricettazione di capi di abbigliamento ritenuti di provenienza illecita.
Nell’impugnare la sentenza di secondo grado davanti ai Giudici del Palazzaccio il ricorrente deduceva che l’assoluzione dal delitto presupposto era incompatibile con la condanna per ricettazione, dato che se si escludeva che i beni fossero “contraffatti”, ed era esclusa la loro illiceità. Inoltre, lamentava che, ritenuta la insussistenza del dolo nella messa in vendita dei beni falsificati in modo grossolano non avrebbe potuto ritenersi esistente l’elemento soggettivo della ricettazione.
La Cassazione ha effettivamente ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte, accogliendo il ricorso in quanto fondato e annullando la sentenza impugnata in quanto “il fatto non sussiste”.
Gli Ermellini hanno rilevato come l’assoluzione in relazione al delitto previsto dall’art. 474 del codice penale, sulla base della rilevazione della grossolanità del falso, escluda che i beni oggetto della contestata ricettazione possano essere qualificati come di provenienza illecita; pertanto, la loro ricezione non configura il delitto in questione.
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