Si è svolto il 5 febbraio scorso presso l’aula magna dell’ospedale «Sandro Pertini» di Roma il convegno organizzato dalla ASL Roma 2 sul tema “Sanità penitenziaria. L’area materno infantile”.
«In questo momento ospitiamo otto madri con bambini – afferma Ida del Grosso, direttrice di Rebibbia Femminile – una percentuale che per fortuna è scesa negli anni. Nell’ultimo anno ne abbiamo ospitati 80, tra madri e minori. Fino ad oggi un’attenzione particolare è stata riportata sulla necessità che i bambini frequentassero i nidi esterni, per la fondamentale idea, che tutti noi abbiamo, che la scolarizzazione sia un valore acquisito sia per donne rom, che spesso ospitano i nostri nidi, sia per le donne italiane o straniere che esse siano».
L’attuazione della legge di riforma n.62/2011 darà a breve la possibilità di superare la presenza dei bambini nelle carceri, attraverso l’introduzione dell’istituto a custodia attenuata per madri, e di una casa famiglia protetta, gestita da operatori sociali. «I bambini nel carcere sono un problema rilevante – sostiene Flori Degrassi, commissario straordinario ASL Roma 2 e continua – chiaro che noi facciamo sempre delle azioni in cui dobbiamo guardare il costo-beneficio. Il beneficio è stare vicino alla madre, questo è innegabile, il costo è comunque un costo sociale che il bambino si porterà nel suo bagaglio personale. Per cui l’apertura del mondo nei confronti del bambino, il mondo che va all’esterno, le tante associazioni che lavorano dentro al femminile, che sono di più rispetto a quelle che lavorano nelle altre carceri, portano un senso di normalità».
Tra le altre proposte, quella di una servizio sanitario a chilometro zero, che interessa le detenute in fase di gravidanza, e quella di una maggiore sensibilizzazione verso una genitorialità senza barriere. «Noi dobbiamo portare il servizio sanitario in prossimità – afferma ancora la Degrassi – ovviamente non potremo portare in prossimità la risonanza magnetica, la tac, ma sono stati portati in prossimità la mammografia, gli ecografi. Cerchiamo di portare dentro il carcere tutto quello che possiamo».
«Non esistono solo i figli che sono all’interno con le proprie mamme – ricorda ancora del Grosso – Tutte le altre 300 donne che abbiamo sono quasi tutte mamme o nonne. Ciò che cerchiamo di fare è riuscire a proteggere questo senso della genitorialità, perché riteniamo che l’essere genitore possa non essere diminuito dallo stato di detenuto, e lavoriamo moltissimo con gli operatori dell’area pedagogica e con gli psicologi perché questo senso della genitorialità non venga ridotto dalla, ad esempio, riduzione dei colloqui».
di Pierpaolo De Mejo