La vicenda risale al 1992 ma solo nel 2015 si è giunti a una sentenza di primo grado che riconosce le responsabilità dell’Ospedale per non aver individuato i sintomi di una ‘ipossia intrapartum’

Oggi hanno 24 anni i due gemelli nati nella primavera del 1992 con gravi disturbi neurologici a seguito di un parto prematuro. La giovane mamma, alla 32esima settimana di gravidanza, viene ricoverata con urgenza a Gravina, in Puglia, per poi essere trasferita dopo due giorni presso il reparto di Ostetricia dell’Ospedale di Bitonto, sempre in provincia di Bari.

Qui vengono alla luce i due fratellini, uno con braccia e gambe paralizzate, l’altro con gravi malformazioni al viso. Le diagnosi formulate dai medici  sono rispettivamente di tetraparesi spastica e displasia ectodermica con ritardo psicomotorio.

A distanza di quasi un quarto di secolo, a maggio 2015, quando entrambe le strutture non sono più operative, arriva la decisione del Tribunale di primo grado con una sentenza che prevede il pagamento di una risarcimento a favore della famiglia pari a oltre 4,5 milioni di euro. Ma la storia emerge solo negli ultimi giorni, dopo che i genitori hanno effettuato un pignoramento da 6,8 milioni nei confronti della Regione.

Secondo la ricostruzione riportata dal quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno la vicenda approda nelle aule di giustizia nel 2002. La consulenza tecnica disposta dal giudice della sezione distaccata di Altamura del Tribunale di Bari è molto cauta a causa delle difficoltà nel ricostruire l’accaduto a distanza di tanti anni e riportare l’operato dei medici alle linee guida dell’epoca.

I danni ai due gemellini, secondo la tesi del consulente del Tribunale, sarebbero stati determinati da una ‘probabile’ e ‘preesistente’ asfissia intrapartum, di cui i medici non si sarebbero accorti a causa di proprie ‘gravi e rilevanti omissioni strumentali e cliniche’.

L’’ipossia intrapartum’ è un fenomeno rarissimo (se ne registrano due ogni mille neonati) probabilmente dovuto ad anomalie nella formazione della placenta. L’incidenza dei danni cerebrali è ancora più bassa, due ogni diecimila. I sintomi dell’asfissia sono evidenziabili attraverso esami quali la Ctg (cardiotocografia fetale) e quando riscontrati si interviene solitamente con un taglio cesareo.

Nel caso in questione il medico di turno del nosocomio di Bitonto aveva prescritto una Ctg, ma i tracciati non sono mai stati ritrovati e il giudice li ha ritenuti ‘non eseguiti’. Il Tribunale ha rilevato ‘una serie di grossolane omissioni’ nel comportamento dei medici di Bitonto, che tuttavia non sono mai stati identificati e tacciati di ‘negligenza’.

Il consulente nella sua perizia parla di ‘lacunosa ed incompleta compilazione della cartella clinica nella parte in cui non vi è descrizione del parto e non è stata esaminata la placenta’. La Ctg, inoltre, secondo l’esperto,  ‘avrebbe consentito di accertare una qualche sofferenza fetale tale da giustificare una modalità del parto differente’. E anche una emogasanalisi ‘avrebbe potuto mostrare la presenza (o meno) di un distress respiratorio in atto’.

Il medico legale non ha potuto stabilire ‘se e in che misura’ le leggerezze dei medici di Bitonto ‘possano aver contribuito ad aggravare le patologie neurologiche in atto’ sui feti; tuttavia il giudice ha applicato il principio di vicinanza della prova ritenendo che l’ospedale ‘agevolmente avrebbe potuto sconfessare le circostanze dell’inadempimento, provando di aver eseguito gli esami strumentali indicati’.

Il Tribunale, quindi, ha disposto la liquidazione di poco più di un milione e 1,4 milioni rispettivamente ai due gemelli, e 77mila euro a ciascuno dei due genitori per ‘la compromissione delle loro possibilità relazionali anche attesa la loro giovane età’. Alla cifra totale vanno poi aggiunti interessi e rivalutazione. Al padre non è stato invece riconosciuto nulla per la decisione di aver lasciato il lavoro per stare vicino ai figli: una scelta ‘libera’ e ‘sicuramente encomiabile’, per il giudice, ma i figli erano già assistiti dalla madre e da personale medico pagato dalla famiglia.

Al momento la famiglia ha ottenuto solo 900mila euro; la Regione – cui spetta il pagamento dei danni assieme alla gestione liquidatoria della ex Usl Bari 8 e in minima parte all’assicurazione – ha infatti impugnato la sentenza di primo grado e la Corte d’appello a luglio l’ha sospesa per i quattro quinti.

 

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