Respinto il ricorso di un lavoratore vittima di un infortunio contro la sottrazione dal risarcimento del danno dell’importo della rendita INAIL

In tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d’ufficio allo scomputo, dall’ammontare liquidato a detto titolo, dell’importo della rendita INAIL, anche se l’istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all’indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, implicando, quindi, la sola liquidazione, un’operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Diversamente opinando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l’eccedenza, né all’INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata liquidazione dell’indennizzo potrebbe essere dovuta all’inerzia del lavoratore, che non abbia denunciato l’infortunio, o la malattia, o abbia lasciato prescrivere l’azione”.

Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 23529/2021 pronunciandosi sul ricorso di un lavoratore rimasto vittima di un infortunio sul lavoro.

In sede di merito, la Corte territoriale aveva dato atto che il Tribunale aveva condannato la società datoriale al risarcimento del danno differenziale in favore del dipendente nella misura del 25%, avendo attribuito al lavoratore la responsabilità nella causazione dell’incidente in misura pari al 75%.

In base a quanto ricostruito, il lavoratore era stato incaricato da un collega di provvedere alla imbragatura di alcuni travetti (ciascuno della lunghezza di 6 m. e del peso di 80 kg) con le fascette auto stringenti; il collega, sebbene sprovvisto di patentino, si era posto alla guida della gru; al momento di sollevare il terzo carico, questo oscillava, si staccava e colpiva alla spalla la parte offesa, rimasta nel raggio di azione della gru, procurandogli danni permanenti; la caduta della trave si era verificata sia a causa di una non corretta legatura del carico, eseguita dallo stesso danneggiato (persona esperta e che aveva ricevuto adeguata formazione come gruista), e sia, come accertato nel processo penale, perché le travi erano bagnate a causa della neve caduta nei giorni precedenti.

La Corte d’appello aveva quindi confermato la quantificazione delle responsabilità, come eseguita dal Tribunale, spiegando che il 25% era imputabile a una carenza nell’organizzazione del cantiere che aveva portato il collega ad operare come gruista, benché inesperto; il 75% era invece addebitabile al lavoratore, per la negligente esecuzione della prestazione. Da li la conferma della liquidazione del danno come operata dal primo giudice, con la previsione di sottrarre quanto versato dall’Inail a titolo di danno biologico.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente censurava la sentenza per aver sottratto dal risarcimento del danno in favore del lavoratore la somma liquidata dall’INAIL, sebbene il predetto non avesse percepito alcunché dall’Istituto. La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto infondata la doglianza.

La redazione giuridica

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