Decesso del paziente per la caduta in reparto (Tribunale Milano, Sentenza n. 6473/2022 pubbl. il 20/07/2022 RG n. 59609/2017).

Decesso del paziente successivamente alla caduta che avveniva nel reparto di degenza.

Con atto di citazione i familiari del paziente deceduto chiamavano in giudizio l’Istituto per sentirne accertare la responsabilità per malpractice medica con conseguente risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Allegano gli attori che la congiunta, rispettivamente madre e moglie, nel marzo del 2013, era stata ricoverata per sospetto focolaio in paziente con la febbre, diabetica id, sindrome depressiva e apnee notturne, con diagnosi di insufficienza respiratoria globale in riacutizzazione di BPCO.

La paziente, inoltre, era invalida civile al 100% con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita e si era trasferita con il marito presso l’abitazione della figlia, soffrendo di decadenza cognitiva, depressione ed episodi vertiginosi. Proprio per tali ragioni, all’atto del ricovero la donna era stata registrata come a rischio di caduta, con conseguenti misure preventive.

La sera del 5/3/13 nello spostamento tra il tavolo ed il letto ospedaliero la paziente cadeva fratturandosi il femore. Malgrado le cure seguitane, con la constatata impossibilità di procedere chirurgicamente per riduzione ed osteosintesi, in data 16/3/13 decedeva.

Gli attori, in sintesi, denunciano la condotta inadempiente/omissiva della struttura ospedaliera, l’errata valutazione della necessaria assistenza dovuta alla paziente, l’omesso aggiornamento della scheda di valutazione del rischio, omissioni nella terapia farmacologica (relativamente allo stato depressivo), la mancata informazione e concertazione con i familiari delle modalità assistenziali, la prevedibilità e prevenibilità della caduta, l’esistenza di nesso causale tra il decesso del paziente e la caduta.

La domanda viene inquadrata nell’alveo dell’illecito aquiliano, stante l’insussistenza di un rapporto contrattuale tra gli attori e la struttura (esistente solo con la paziente).

Il caso attiene a un soggetto di anni 76 alla epoca dei fatti, affetto da plurime patologie croniche (depressione in terapia, decadimento cognitivo di grado moderato/severo, diabete mellito tipo II con neuropatia e nefropatia, ipotiroidismo, OSAS e BPCO condizionante insufficienza respiratoria acuta) che viene ricoverato in ambiente pneumologico del convenuto nosocomio per riacutizzazione di tale ultimo quadro.

Dalla espletata CTU  emerge:

“-         è pacifico che il soggetto in costanza di degenza sia caduto riportando una frattura persottotrocanterica del femore sinistro: vista dall’ortopedico in data 6/3/13 una prima volta e veniva data indicazione alla chirurgia quando le condizioni generali lo permetteranno in seguito le condizioni generali peggiorano ulteriormente tanto che l’anestesista in data 11/3/2013 definisce la paziente ad alto rischio (ASA 4), in data 12/3/2013 il chirurgo opta con il parere dei familiari per un trattamento conservativo.

–           a distanza di circa dieci giorni dal trauma si verifica il decesso del paziente: non risulta eseguita autopsia e quindi non abbiamo indicazione precisa su quale sia stata la causa di morte: è comunque concretamente prospettabile che essa sia da ricondurre in una acuta insufficienza di circolo in soggetto affetto da plurime patologie a carattere naturale e di recente passivo di traumatismo fratturativo di femore. Ovvero, il decesso del paziente non è da ricondurre causalmente alla sola patita caduta bensì quest’ultima interviene come concausa in un complesso pluripatologico cronico. Ed ancora, a causa di tale caduta il soggetto ha completamente perso la autonomia deambulatoria che in precedenza aveva parzialmente;

–           venendo poi alla caduta, devesi identificare se tale fatto pacificamente prevedibile fosse anche prevenibile E infatti annotato che all’ingresso viene evidenziata valutazione multidimensionale eseguita in data 25/2/13 in cui è riconosciuto un rischio di caduta e viene rilevato uno stato di confusione acuta: tale fatto fu poi comunicato ai familiari nonchè si presero provvedimenti a riguardo (posizionato braccialetto identificativo, avvisato il medico/tutor, resa la stanza luminosa, lasciata la luce accesa in stanza durante la notte, controllato che in bagno non ci siano ostacoli e verificato che i presidi personali siano ben funzionanti). Del pari, non vi era una indicazione cogente ad usare i mezzi di contenzione: infatti la decisione del personale medico di impiegarli discende sempre da un equilibrio tra la tutela del rispetto e della autonomia del soggetto da una parte – che non può evidentemente essere bloccato a solo scopo precauzionale (ovvero, è ovvio che se lego tutti i degenti al letto nessuno mai cadrà ma ciò non è evidentemente corretto) – e dall’altro le esigenze cliniche che prevedono che in caso di documentato rischio di lesioni devono essere prese delle precauzioni: lo si ribadisce al momento dell’ingresso la decisione presa dai medici del reparto medicina era corretta per la valutazione del caso di specie. Ad onor del vero, durante la degenza il quadro evolve in pejus: nel diario sia medico che infermieristico si annota che la paziente è confusa nel tempo e nello spazio: prima segnalazione in cartella, oltreche nella scheda, il 28/2/13 e quindi il 2/3/13, il 3/3/13, il 4/3/1 3. È poi un fatto che il giorno della caduta il 5/3/13 non ci sia nessuna valutazione né medica né infermieristica al mattino e al pomeriggio ma si ha solo la valutazione del medico di guardia alle 20.15: questo mentre è un obbligo della Regione Lombardia scrivere tutte le mattine nel diario quanto rilevato in occasione del giro -visita. Tale complessivo quadro nuovo evoluto in pejus avrebbe dovuto portare ad una rivalutazione complessiva del rischio di caduta (come peraltro richiesto dalla raccomandazione ministeriale 3/2011 doc. 17 pag. 30), ad esempio con somministrazione di Tinetti scale etc ). Tale nuovo inquadramento avrebbe poi potuto condurre in ipotesi ad un inasprimento delle misure di prevenzione delle cadute (contenzione in primis), ovvero al mantenimento dello status quo. Ma ad oggi su tali ipotesi non si può dire di più. Per contro non si ritiene, come sostenuto dal CTP attoreo, che una sorveglianza maggiore (finanche la presenza di una badante con rapporto quindi di uno a uno) avrebbe potuto scongiurare il decesso del paziente.”

Replicando alle note del CTP,  i CTU hanno rilevato che per quanto attiene il rischio di caduta, “la Tinetti Scale non viene eseguita ma normalmente viene compilata soprattutto da fisioterapisti o fisiatri (non disponibili in un reparto di pneumologia per acuti). La parte medica della cartella effettivamente presenta alcune lacune/incongruenze rispetto a quella infermieristica: ma complessivamente e questo è rilevante – sono stati presi i provvedimenti congrui con la valutazione infermieristica, che fotografa una situazione più impegnata. Per il problema dei farmaci, quale la mancata somministrazione dei farmaci (Tavor) e per uno o due giorni del Cymbalta si segnala che il Tavor in questi pazienti addirittura aumenta la confusione. Per quanto riguarda il Cymbalta essendo in steady state e avendo una emivita fino a 17 ore non ha creato problemi alla paziente che abbiano avuto significato causale in tale vicenda. Quindi la presunta mancata o alterata somministrazione di Tavor e Cymbalta non può essere considerato assolutamente un evidente fattore aggravante. Inoltre lo stato confusionale era soprattutto legato al quadro cognitivo (demenza) e alla ipossigenazione cerebrale da riacutizzazione di BPCO. Ed ancora, è concretamente prospettabile che, essendosi aggravata la paziente, da un punto di vista dello stato cognitivo, avrebbe dovuto essere rivalutata a magari necessario adottare sistemi contentivi. Ed ancora, si ribadisce che non è possibile avere sempre un assistente quando è presumibile avere degli spostamenti della paziente in quanto tecnicamente impossibile.”

In conclusione, non risulta adeguatamente provata la sussistenza di un nesso causale tra una condotta omissiva ed imprudente della struttura e il decesso del paziente.

Per tali ragioni la domanda viene rigettata, tuttavia la natura concausale dell’evento sulle conseguenze letali e talune omissioni nella valutazione del rischio nella giornata che ha preceduto la caduta costituiscono equo motivo per la compensazione tra le parti delle spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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