La corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 143, comma d.P.R. n. 115/2002 nella parte in cui non prevede che siano posti a carico dell’erario gli onorari e le spese spettanti al difensore d’ufficio del genitore irreperibile, cui sia addebitato l’abbandono del figlio minore

La vicenda

Nel corso di una procedura aperta su istanza di liquidazione di onorari per l’attività professionale svolta dal richiedente quale difensore di ufficio di una genitrice irreperibile, alla quale era stata contestata la condizione di abbandono del figlio minore, il Tribunale per i minorenni di Bari, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 143, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia», «nella parte in cui non prevede che, in attesa che venga emanata una specifica disciplina sulla difesa d’ufficio nei processi previsti dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 [Diritto del minore ad una famiglia], possano essere posti a carico dell’erario gli onorari e le spese spettanti al difensore d’ufficio del genitore irreperibile».

Secondo il giudice rimettente la norma così denunciata violerebbe:

«a) l’art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento, cui darebbe luogo, tra il difensore di ufficio di persona irreperibile nominato nell’ambito di procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità di minori in condizioni di abbandono – per il quale, irragionevolmente, non è prevista liquidazione alcuna di onorari – e il difensore di ufficio di irreperibile nominato nell’ambito del procedimento penale, in favore del quale il diritto a tale liquidazione è espressamente, invece, previsto dall’art. 117, comma 1, dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002;

b) gli artt. 1 e 35 Cost., per il vulnus arrecato a «un lavoratore che debba prestare la propria opera professionale senza poter ottenere un compenso né dal proprio assistito irreperibile, né dallo Stato che gli ha conferito l’incarico di difensore d’ufficio (incarico peraltro irrinunciabile)»;

c) l’art. 24, secondo comma, Cost., per il «concreto rischio» che il difensore nominato non presti diligentemente la propria opera professionale, non partecipando all’attività d’udienza, attesa la sua consapevolezza di non poter rivendicare i compensi nei confronti della parte assistita irreperibile e neanche verso l’erario».

La questione di legittimità costituzionale

Il giudice delle Leggi investito della questione non ha potuto fare a meno di rilevare che sulla base della disposizione censurata il difensore di ufficio di una delle parti nei processi di adozione di minori non ha diritto ad ottenere dall’erario il pagamento degli onorari spettantigli per l’attività svolta, ove la parte assistita sia (come nel caso di specie) di fatto irreperibile, stante l’impossibilità, per detto difensore, «sia di ricevere eventualmente nomina fiduciaria, sia di comprovare i titoli economici che consentono l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato».

E ciò diversamente da quanto è invece previsto per il procedimento penale, ove «l’attività difensiva in favore dell’imputato irreperibile […] espletata d’ufficio» trova «sancita la corresponsione economica da una espressa previsione legislativa» (art. 117, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002).

Di qui appunto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice pugliese.

Ebbene i giudici della Corte hanno accolto le argomentazioni assunte a sostegno dell’illegittimità costituzionale.

In altre occasioni, è stato già affermato che «la diversità di disciplina fra la liquidazione degli onorari e dei compensi nel processo civile e nel processo penale trova fondamento nella diversità delle situazioni comparate (da una parte gli interessi civili, dall’altra le situazioni tutelate che sorgono per effetto dell’esercizio dell’azione penale)» (ordinanza n. 350 del 2005; nello stesso senso, ex plurimis, ordinanze n. 270 del 2012 e n. 201 del 2006).

Ma in questo caso, non si può fare a meno di rilevare che tra i due procedimenti esistono “significativi profili di omogeneità in relazione, sia alla natura degli interessi in gioco, sia al ruolo del difensore chiamato ad apprestarvi tutela”.

«La ratio della difesa nei processi di adottabilità è quella, infatti, di dare la massima protezione ai diritti dei minori e dei loro genitori – ai quali è appunto garantito di far valere le proprie ragioni anche in assenza di un avvocato di fiducia – per evitare che l’eventuale debolezza sociale di tali soggetti influisca negativamente nel procedimento. Ad accomunare i processi di adozione in questione al giudizio penale sta inoltre il fatto che in quei processi si giudicano condotte che possono anche integrare parallele ipotesi di reato, e che possono condurre ad esiti pure più dolorosi di quelli penali».

La decisione

Peraltro, osserva la Corte costituzionale, “la mancata previsione della liquidabilità, a carico dell’erario, degli onorari spettanti al difensore d’ufficio dell’irreperibile nei processi di adottabilità non è frutto di una scelta definitiva del legislatore del 2002 – che, con la disposizione censurata, ha invece solo rinviato ad una successiva «specifica disciplina sulla difesa d’ufficio, nei processi previsti dalla legge 4 maggio 1983 n. 184» – ed è, quindi, solo conseguenza dell’inerzia del legislatore successivo: inerzia protratta da quella lontana data a tutt’oggi”.

Per tutti questi motivi l’art. 143, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede che siano anticipati dall’erario gli onorari e le spese spettanti al difensore d’ufficio di genitore irreperibile nei processi di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia).

La redazione giuridica

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