Nel 2016 la Corte di appello di Roma, aveva confermato la decisione del giudice di primo grado in ordine all’attribuzione di un assegno divorzile pari ad Euro 400,00 mensili all’ex coniuge richiedente

La vicenda giunta in Cassazione è stata rimessa con ordinanza interlocutoria del 18 giugno 2018, n. 15970 dei giudici della Sesta Sezione Civile, alle Sezioni Unite al fine di chiarire i criteri di interpretazione della normativa in materia di riconoscimento del diritto all’assegno divorzile e della sua determinazione.

La vicenda

A detta del ricorrente la decisione impugnata aveva violato l’iter valutativo riguardante l’attribuzione e la determinazione del quantum dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge richiedente.
Come noto, la questione relativa alla determinazione dell’assegno di divorzio è stata per anni, oggetto di un acceso dibattito, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, che è inevitabilmente sfociato nell’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite contenuto nella sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018, che è possibile riassumere in sette punti fondamentali: a) abbandono dei vecchi automatismi che avevano dato vita da un lato al criterio del tenore di vita (cfr. Cass., SU, n. 11490 del 1990), dall’altro a quello dell’autosufficienza (cfr. Cass. n. 11504 del 2017); b) abbandono della concezione bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno divorzile, fondata sulla distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi; c) abbandono della concezione che riconosce la natura meramente assistenziale dell’assegno di divorzio a favore di quella che gli attribuisce natura composita (assistenziale e perequativa/compensativa); d) equiordinazione dei criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6; e) abbandono di una concezione assolutistica ed astratta del criterio “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi” a favore di una visione che propende per la causa concreta e lo contestualizza nella specifica vicenda coniugale; f) necessità della valutazione dell’intera storia coniugale e di una prognosi futura che tenga conto delle condizioni dell’avente diritto all’assegno (età, salute, etc.) e della durata del matrimonio; g) importanza del profilo perequativo-compensativo dell’assegno e necessità di un accertamento rigoroso del nesso di causalità tra scelte endofamiliari e situazione dell’avente diritto al momento dello scioglimento del vincolo coniugale.
Muovendo da tali presupposti, dunque, le Sezioni Unite hanno sancito che, al fine di stabilire se, ed eventualmente in quale entità, debba riconoscersi l’invocato assegno divorzile, il giudice: a) procede, anche a mezzo dell’esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o, comunque, l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, e, in particolare, se quella sperequazione sia, o meno, la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso ed alla durata del matrimonio; c) quantifica l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, nè al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato.

Lo Jus superveniens

L’intervento delle Sezioni Unite ha comportato non soltanto una diversa valutazione giuridica dei fatti considerati, ma anche lo stravolgimento di tutto il sistema processuale delle allegazioni e delle prove; si è perciò posto il complesso problema di stabilire quali effetti il nuovo indirizzo ermeneutico avrebbe avuto sui processi pendenti.
Ecco il nuovo intervento del Supremo Collegio.
I giudici della Cassazione hanno ricordato l’importanza della funzione nomofilattica delle Sezioni Unite finalizzata a garantire una tendenziale stabilità e valenza generale delle norme giuridiche.
È allora ragionevole ipotizzare che laddove per l’applicazione della nuova regola affermata dalle Sezioni Unite, non sia necessario l’accertamento di nuovi fatti, la Cassazione possa, eventualmente previa attivazione del meccanismo di cui all’art. 384 c.p.c., comma 3, – decidere nel merito la causa; altrimenti, dovrà cassare con rinvio la sentenza impugnata, con conseguente vincolo per il giudice ad quem di attenersi alla nuova regola e fermo restando che anche nel giudizio di rinvio le parti potranno essere rimesse nei poteri di allegazione e prove conseguenti al dictum delle Sezioni Unite.
Si tratta – a parere degli Ermellini –  di un’affermazione assolutamente utilizzabile in una fattispecie come quella in esame, ove è richiesto un necessario adeguamento da assicurarsi alla struttura del giudizio di rinvio, al fine di garantire il pieno ed effettivo dispiegamento del diritto di difesa delle parti, allorquando i mutamenti interpretativi giurisprudenziali che determinino la cassazione con rinvio del provvedimento impugnato investano – come accaduto, per quanto qui di interesse, con riferimento all’interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 – il contenuto di norme sostanziali e di merito, i quali sono tutti necessariamente retroattivi.

La decisione

Per tutti questi motivi il Supremo Collegio ha ritenuto doveroso cassare con rinvio la decisione della corte di merito che nel decidere la questione giuridica controversa aveva fatto applicazione del trentennale orientamento giurisprudenziale poi abbandonato dall’ultimo recente intervento giurisprudenziale, sancendo il diritto all’assegno divorzile esclusivamente in ragione della impossibilità, per la parte richiedente, di conservare, con le proprie “inadeguate” risorse, un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio, senza, invece, far derivare l’accertamento di quel diritto da una ponderazione unitaria (e non solo per la successiva quantificazione dell’assegno de quo) di tutti i citati criteri contenuti nella decisione delle SU, n. 18287 del 2018.

La redazione giuridica

 
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