Respinta la richiesta di risarcimento di una lavoratrice che lamentava disagi psicofisici a causa dello stress accumulato sul luogo di lavoro
La sentenza n. 18132/2020 della Suprema Corte di Cassazione chiarisce quali siano i profili di responsabilità ascrivibili al datore di lavoro nel caso in cui un dipendente maturi disagi psicofisici.
La dipendente di Poste Italiane citava in giudizio la compagnia per accertare il suo diritto al risarcimento del danno subito durante il periodo di lavoro presso l’azienda. In particolare lamentava il fatto che a causa dello stress e del profondo disagio che viveva sul luogo di lavoro avesse maturato uno profondo stato di prostrazione psicofisico.
La Corte d’appello di Trieste rigettava la domanda della ricorrente in specificando che: “l’art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento”. Di conseguenza: “incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.”
La Suprema Corte di Cassazione riteneva del tutto legittimo e motivato il giudizio espresso dalla Corte d’Appello; rigettava quindi il ricorso escludendo “la possibilità di ricavare dalla norma citata l’obbligo del datore di adottare ogni cautela possibile ed innominata, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a prevenire ogni evento lesivo”.
Avv. Claudia Poscia
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