È stato dichiarato pienamente capace di intendere e di volere l’imputato con disturbo della personalità e comportamento antisociale

Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche il disturbo della personalità, può rientrare nel concetto di “infermità”, purché sia tale da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere dell’imputato, escludendola o scemandola grandemente.

La vicenda

La Corte d’appello di Palermo aveva confermato la condanna inflitta all’imputato in ordine ai reati di estorsione, lesioni personali e violenza a pubblico ufficiale, riducendo la pena a 3 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione e 800 euro di multa.

Contro tale pronuncia quest’ultimo ha proposto ricorso per Cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia, lamentando l’errore commesso dalla corte d’appello per aver omesso di valutare la richiesta difensiva di concessione del vizio parziale di mente; nonché il travisamento della prova costituita dalla perizia psichiatrica laddove aveva negato che il disturbo della personalità, pur riconosciuto, fosse di intensità tale da incidere sulle proprie capacità.

La Seconda Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 188/2020) ha rigettato il ricorso perché infondato.

Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la corte d’appello non aveva affatto omesso di valutare la questione proposta del difetto parziale di capacità poiché, con le ampie osservazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata aveva espressamente negato, sulla base delle conclusioni della perizia, che il disturbo della personalità riconosciuto all’imputato fosse di una gravità ed intensità tale da aver inciso sulla sue capacità di intendere e volere… che invece erano risultate sintomatiche di una spiccata capacità delinquenziale.

Per queste ragioni il giudice dell’appello aveva escluso non soltanto il vizio totale ma, altresì, qualsiasi compromissione della capacità di intendere e volere penalmente rilevante, senza incorrere nel lamentato difetto di motivazione.

Disturbo della personalità e imputabilità

Peraltro, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, “ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i “disturbi della personalità”, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di “infermità”, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di “infermità” (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005).

Di tali principi di diritto aveva fatto corretta applicazione la corte d’appello palermitana rilevando, anche alla luce delle modalità di consumazione dei delitti e quindi sulla base di un preciso giudizio di fatto non censurabile in sede di legittimità, che il disturbo della personalità dell’imputato, pur rendendo lo stesso affetto da comportamento antisociale, non fosse in alcun modo idoneo ad incidere sulla sua capacità.

La decisione

Del resto, la giurisprudenza successiva all’intervento delle Sezioni Unite ha chiarito che gli impulsi della azione, pur riconosciuta come riprovevole dall’agente, devono essere tali da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze (Sez. 5, n. 8282 del 09/02/2006) e in ogni caso, per essere rilevante il disturbo della personalità va valutato solo ove ricorra un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da quello specifico disturbo mentale (Sez. 6, n. 18458 del 05/04/2012).

L’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame aveva ragionevolmente portato i giudici dell’appello ad escludere la fondatezza delle doglianze difensive.

In conclusione, l’impugnazione è stata dichiarata inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Avv. Sabrina Caporale

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