Domanda di disoccupazione e giorni di lavoro effettivo

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Si controverte sull’interpretazione del requisito delle trenta giornate “di lavoro effettivo”: il “lavoro effettivo” è sempre comprensivo di quelle pause periodiche della prestazione lavorativa. La Cassazione enuncia due importanti principi di diritto (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, sentenza 21 maggio 2025, n. 13566).

La domanda di disoccupazione NASPI

Con sentenza del 9/7/2019 n. 588 la Corte d’appello di Firenze, accoglie il gravame proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Tribunale di Siena che aveva respinto nei confronti dell’INPS la concessione dell’indennità di disoccupazione NASPI.

L’INPS non ha corrisposto la suddetta indennità perché non integrato il requisito richiesto dall’art. 3 comma 1 lett. c) del D.Lgs. n. 22/15, consistente in trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

Nel caso in esame, nel periodo precedente la cessazione del rapporto di lavoro del ricorrente vi era stata la reintegra nel posto di lavoro con ordinanza del 8/4/13 a seguito del licenziamento del 21/9/12 ed anche se la reintegra effettiva era stata rifiutata dal datore di lavoro, tuttavia erano stati regolarmente versate le retribuzioni e i contributi dovuti.

Inter partes veniva, poi, sottoscritto un verbale di conciliazione in base al quale il lavoratore rinunciava all’impugnazione del licenziamento e all’indennità risarcitoria e il datore di lavoro rinunciava a ripetere le somme versate a seguito della reintegrazione ordinata con l’ordinanza dell’8/4/13 e il rapporto di lavoro cessava alla data del 3/2/17 con il pagamento del TFR e di tutti i contributi dovuti.

I trenta giorni di lavoro effettivo

A seguito della richiesta della Naspi in data 7/2/17, l’Inps respingeva la richiesta, in data 27/4/17, per la mancanza del requisito dei trenta giorni di effettivo lavoro nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

La Corte d’appello riforma la sentenza di primo grado, perché a seguito dell’ordinanza dell’8/4/13, l’ordine di reintegrazione era stato eseguito e il rapporto di lavoro era stato ripristinato pur senza ripresa dell’attività lavorativa, essendo state tuttavia versate le retribuzioni e pagati i contributi dovuti sino alla cessazione del rapporto di lavoro, il 3/2/17: quindi, il rapporto di lavoro era stato effettivo e il requisito previsto dall’art. 3 lett. c) del D.Lgs. n. 22/15, poteva ritenersi soddisfatto.

La S.C. osserva che interpretando diversamente la disposizione si perverrebbe al risultato di privare il lavoratore del diritto alla prestazione a causa di un comportamento non imputabile a lui, ma al datore di lavoro: si doveva, pertanto, applicare la regola della neutralizzazione dei periodi di astensione dal lavoro non imputabili al lavoratore ed il periodo di dodici mesi da prendere in considerazione doveva farsi risalire al momento dell’emissione dell’ordinanza di reintegra (8/4/2013).

L’intervento della Cassazione

Secondo l’INPS la Corte di secondo grado avrebbe errato, al fine della corresponsione della Naspi, nell’applicare la regola della neutralizzazione dei periodi di astensione dal lavoro non imputabili al lavoratore.

La doglianza non è fondata. Il lavoratore ha “rivendicato” l’indennità di disoccupazione NASPI, allegando la disoccupazione involontaria conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, per licenziamento intimato il 21/9/12. A seguito di diniego in sede amministrativa, per difetto del requisito delle “trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione”, in sede giudiziaria, la Corte d’appello ha ritenuto, invece, integrate le trenta giornate lavorative richieste dall’art. 3, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 22 del 2015. Secondo i Giudici di appello, al raggiungimento di tale requisito non ostava il fatto che il lavoratore, nell’arco temporale di riferimento, non avesse reso un’effettiva prestazione lavorativa. Ciò che rilevava era, infatti, la sussistenza del rapporto di lavoro, con diritto alla retribuzione e alla contribuzione.

La S.C. si è più volte pronunziata sul requisito delle “trenta giornate lavorative”, e ha ritenuto che “le trenta giornate di lavoro effettivo sono integrate anche da giornate di ferie e/o di riposo retribuito” Tale principio è coniugato con il fatto che le ferie, come i riposi, rappresentano momenti connaturali al rapporto di lavoro. Durante la loro fruizione vi è piena vitalità – e quindi effettività – del rapporto stesso.

Il lavoro effettivo è sempre comprensivo della pause della prestazione lavorativa

Quindi, il “lavoro effettivo” è, dunque, sempre comprensivo di quelle pause periodiche della prestazione lavorativa che, finalizzate al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, sono equiparabili alla effettiva e concreta esecuzione delle mansioni.

Calando tali principi al caso qui in esame, nel periodo considerato dalla norma di legge (ovvero quello dei “dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione”), al lavoratore non è stato consentito l’accesso sul luogo di lavoro, ma è stato ugualmente retribuito. Ai fini di causa, rileva che -senza risoluzione del rapporto di lavoro- il datore di lavoro ha rinunciato all’obbligazione lavorativa, mantenendo fermo l’adempimento di quella retributiva e contributiva.

Diversamente ragionando, il lavoratore verrebbe ad essere pregiudicato, nei diritti previdenziali, pur esercitando legittime prerogative, garantite da leggi o contratti collettivi, o, ancor di più, in presenza di comportamenti unilaterali e ingiusti del datore di lavoro.

Differente è, invece, la situazione in presenza di eventi che, per legge, determinano una cesura temporanea del rapporto di lavoro, con sospensione delle reciproche prestazioni delle parti. Sono i casi tipici della maternità, Infortunio e malattia ma lo sono anche quelli, per esempio, di godimento del congedo genitoriale o di permessi dal lavoro per assistere a persone con handicap grave o, ancora, quelli in cui il lavoratore sia stato posto in cassa integrazione guadagni a zero ore.

Si tratta di eventi, quelli elencati al punto precedente, che impediscono totalmente lo svolgimento dell’attività e che – diversamente dalle ipotesi prima valutate (ferie, riposi, festività, ecc.) – sospendono pure le reciproche obbligazioni delle parti.

In questa visuale, è evidente che anche i periodi di inattività del sinallagma contrattuale non possano ricadere in danno del lavoratore, quanto al godimento della prestazione NASpI, e sono, perciò, esclusi dal computo delle giornate utili di cui all’art. 3 in commento.

I principi di diritto della Cassazione

Conclusivamente la Cassazione enuncia i seguenti principi di diritto:

“In tema di accesso ai nuovi trattamenti di integrazione salariale (cd. NASpI) ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 22 del 2015, nella formulazione antecedente alle modifiche disposte dall’art. 1, comma 171, della l. 30 dicembre 2024, n. 207 (e applicabili agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025): – il requisito delle trenta giornate di lavoro effettivo risulta integrato – oltre che da giornate di ferie e/o di riposo retribuito – da ogni giornata che dia luogo al diritto del lavoratore alla retribuzione e alla relativa contribuzione; – ai fini del computo dei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione si escludono (sono neutralizzati) i periodi di sospensione del rapporto di lavoro per cause tutelate dalla legge, impeditive delle reciproche prestazioni”.

Di tali principi ha fatto corretta applicazione la sentenza di appello e pertanto la Cassazione rigetta il ricorso integralmente.

Avv. Emanuela Foligno

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