Per la Cassazione integra i reati di truffa, sostituzione di persone e “anche” falsità materiale in certificati amministrativi la condotta del dipendente che utilizza i permessi retribuiti per donazioni di sangue ma non si reca alla Asl, esibendo certificazioni false
Colpevole dei delitti di truffa aggravata, sostituzione di persone e falsità materiale in certificati amministrativi. Questo il verdetto emesso in sede di appello nei confronti di un dipendente pubblico accusato di aver fruito di permessi retribuiti relativi a più giornate lavorative nelle quali dichiarava di aver effettuato donazioni di sangue attestate da certificazioni rilasciate da due sanitari risultate integralmente false.
Nel ricorrere per cassazione l’imputato lamentava, tra l’altro, il difetto di determinazioni e mancanza di motivazione con riguardo ai reati contestati.
La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 3439/2020 ha ritenuto inammissibile la doglianza.
A detta degli Ermellini, infatti, la Corte territoriale aveva “scrutinato il gravame difensivo in punto di sussistenza del delitto di truffa, negando pregio alle lamentate carenze probatorie in ordine alla possibile effettuazione di donazioni da sangue da parte del prevenuto presso l’Avis”. I giudici di secondo grado, in particolare, avevano evidenziato la natura del tutto generica delle doglianze e “l’inconferenza degli approfondimenti istruttori richiesti” dal momento che lo stesso imputato aveva conferito al datore di lavoro certificazioni mediche, risultate materialmente false, attestanti le donazioni di sangue. Con riferimento al reato di sostituzione di persona, poi, la difesa non aveva interposto alcun gravame, “sicché la sentenza impugnata non era tenuta a rendere motivazione al riguardo”.
La Corte d’appello aveva inoltre riformato la pronuncia di primo grado affermando che il giudizio di responsabilità del prevenuto, in esito all’accoglimento dell’impugnazione del Polizia giudiziaria, concernesse “anche” il delitto ex artt. 477/482 cod.pen. di falsità materiale in certificati amministrativi.
In altri termini il Collegio aveva ritenuto di estendere la responsabilità al delitto di falso, affiancandola alle analoghe statuizioni già rese dal primo giudice in relazione agli altri addebiti contestati.
Sebbene, dunque, fosse da accogliere la doglianza dell’imputato relativa all’omissione, da parte del giudice a quo della conferma delle statuizioni residue adottate dal Tribunale, dopo la parziale riforma della decisione, d’altro canto si trattava di un mero errore materiale, emendabile ex art. 130 cod.proc.pen.
L’omessa esplicita conferma della sentenza di primo grado, nell’ipotesi di riforma parziale, non comporta – chiariscono gli Ermellini – la nullità della sentenza d’appello quando, interpretando il dispositivo in correlazione con la motivazione che ne costituisce la premessa, sia possibile ricostruire le complete statuizioni del giudice nel caso concreto.
La redazione giuridica
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