Dovrà rispondere del reato di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti per aver coltivato due piantine di tipo cannabis contenenti un principio attivo THC pari a 1,37 grammi, equivalente a 55,5 dosi medie singole

La vicenda

Un anno di reclusione e 3.000 euro di multa, la condanna inflitta dal Tribunale di  Barcellona Pozzo di Gotto all’uomo ritenuto colpevole di aver coltivato, interrate in due vasi di terracotta del diametro di circa 30 cm ciascuna, due piante di tipo cannabis, rispettivamente dell’altezza di 89 cm e 92 cm.

Nel 2018 la Corte di appello di Messina, rideterminava la pena in mesi 8 di reclusione ed Euro 1.000 di multa e, rilevata la causa ostativa di cui all’art. 164 comma 4 cod. pen., revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuto dal giudice di primo grado.

Immancabile il ricorso per Cassazione da parte dell’imputato che, a mezzo del proprio difensore di fiducia, contestava la decisione impugnata per aver erroneamente qualificato il fatto giuridico contestato, senza aver operato alcuna verifica rispetto alla offensività in concreto della condotta.

Ed invero, “la coltivazione rinvenuta sui terrazzino di casa era inidonea – a sua detta – ad aggredire il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, stante la minima entità delle piantine, l’assenza di additivi chimici o di altre sostanze idonee ad aumentarne il processo di crescita, o comunque di bilancini o di altri strumenti atti alla misurazione e alla suddivisione delle piantine, per cui, doveva escludersi la possibile diffusione delle già esigue sostanze rinvenute”.

Il fatto –a detta della difesa – doveva ritenersi del tutto inoffensivo, e tanto anche alla luce del fatto che l’uomo era incensurato.

Ma il ricorso non è stato accolto.

Quanto alla offensività della condotta, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, “ai fini della punibilità della coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, cosicché l’offensività deve essere esclusa soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della capacità ad esercitare, anche in misura minima, l’effetto psicotropo”.

Ebbene, le due conformi sentenze di merito risultavano –a giudizio degli Ermellini – “pienamente coerenti con tale impostazione, avendo sia ii Tribunale che la Corte di appello, rimarcato, all’esito di un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, la circostanza che le due piantine sequestrate nell’abitazione del ricorrente erano in “avanzato stato vegetativo” e che le stesse contenevano un principio attivo THC pari a 1,37 grammi, equivalente a 55,5 dosi medie singole, per cui la coltivazione in esame ragionevolmente non poteva considerarsi – come sostenuto dalla difesa – inoffensiva.

La redazione giuridica

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