Costituisce abuso del diritto la condotta del creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, che frazioni il proprio credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo

La vicenda

Nel 2014 la Corte di appello di Milano respinse il gravame proposto da un avvocato avverso la sentenza del Tribunale di Monza che aveva revocato il decreto ingiuntivo dallo stesso ottenuto nei confronti dei suoi clienti per il pagamento della somma di Euro 21.932,00 a titolo di compenso per l’attività professionale di avvocato da lui prestata in un procedimento di denunzia di nuova opera e nel successivo giudizio di merito, dinanzi al Tribunale di Bari.

Per la stessa attività professionale il legale aveva ottenuto, sulla base di un parere di congruità del competente Consiglio dell’Ordine, un decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 14.413,91 confermato in sede di opposizione con sentenza passata in giudicato. Ma nelle more di tale giudizio, sulla base di un’istanza di revisione del primo parere, il predetto avvocato, aveva ottenuto altro decreto ingiuntivo per l’importo, a titolo di differenza, di Euro 4.293,75 e ancora successivamente, sulla base di una nuova richiesta di revisione del parere al Consiglio dell’ordine, otteneva un nuovo decreto ingiuntivo, oggetto della causa in commento, per l’ulteriore importo di Euro 21.932,00.

Ebbene, a detta della Corte d’appello, l’intervenuto frazionamento delle pretese creditorie da parte del professionista, che aveva richiesto per lo stesso titolo e la medesima prestazione ben tre decreti ingiuntivi, non appariva giustificato, atteso che questi, prima di agire in via monitoria aveva l’onere di sottoporre una nota specifica al Consiglio dell’Ordine e, se non soddisfatto, di chiederne previamente la revisione.

La sua condotta, doveva dirsi dunque, contraria alle regole di correttezza e di buona fede ed al principio del giusto processo, configurando un abuso, con l’effetto che la sua domanda monitoria doveva considerarsi improcedibile.

Il giudizio di legittimità

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento (n. 15498/2019) ha confermato la decisione della corte di merito, in quanto conforme al principio di diritto applicato anche di recente, secondo cui “non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, anche sotto il profilo delle spese si lite, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale, con la conseguenza che le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improcedibili (Cass. n. 19898 del 2018; Cass. S.U. n. 23726 del 2007)”.

Tale orientamento non può dirsi affatto ridimensionato dal successivo arresto n. 4090 del 2017 delle Sezioni unite di questa Corte, laddove si precisa che le diverse domande di pagamento del credito nascente dall’unico rapporto obbligatorio possono essere formulate in autonomi giudizi se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, trattandosi di una premessa implicita nei limiti definitori del concetto di abuso, e che comunque parte attrice non ha dedotto quale sarebbe l’interesse meritevole di tutela per il quale ha adottato le sue plurime iniziative giudiziarie nei confronti dei propri clienti.

Il mancato adempimento del debitore

Neppure è stato accolto il secondo motivo di ricorso, laddove il difensore si doleva del fatto che la Corte di appello, nell’adottare la decisione impugnata, non avesse preso in considerazione anche il comportamento degli opponenti, che pur consapevoli del loro debito verso il professionista, si erano sempre rifiutati di adempierlo.

Ed invero – hanno affermato i giudici della Suprema Corte -, “l’improcedibilità della domanda del creditore che, abusando del proprio diritto, abbia adottato più iniziative giudiziarie nei confronti del debitore, chiedendo senza ragione pagamenti parziali quando avrebbe potuto chiedere l’intero ammontare, costituisce conseguenza di una valutazione autonoma della condotta del creditore, attenendo all’attività diretta alla soddisfazione del suo diritto, su cui non incide nè può incidere la circostanza che il debitore  situazione di inadempienza del debitore”.

La redazione giuridica

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