L’eccessivo formalismo imposto dalla Corte di Cassazione per la redazione dei ricorsi costa all’Italia la violazione dell’art. 6 della CEDU perché dichiarando inammissibile il ricorso dell’imprenditore gli è stato negato il diritto ad adire l’autorità giudiziaria per far valere i suoi diritti (Corte di Strasburgo, sentenza 28 ottobre 2021)

La Corte di Strasburgo condanna l’Italia a risarcire un cittadino che si è visto rigettare un ricorso in Cassazione per difetti di forma.

La Corte di Strasburgo ha riconosciuto a un imprenditore italiano il risarcimento del danno morale perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso perché non presentava determinati requisiti di forma.

Ebbene, la Corte europea bacchetta lo Stato italiano accusandolo di eccessivo formalismo.

Un formalismo eccessivo che la Corte europea ha condannato, perché di fatto ha negato a un cittadino italiano il diritto di rivolgersi all’Autorità giudiziaria per ottenere giustizia, violando in questo modo il suo diritto a un giusto processo.

La vicenda trae origine da un decreto di sfratto in danno dell’imprenditore, titolare di un esercizio commerciale.

Il primo e il secondo grado di giudizio avallano lo sfratto e l’imprenditore si rivolge alla Cassazione che, però, dichiara il ricorso inammissibile poiché non contenente l’indicazione specifica dei vizi della sentenza impugnata.

Nello specifico, gli Ermellini dichiarano il ricorso inammissibile perché nell’atto introduttivo il ricorrente non indica specificamente i vizi della sentenza e neppure i documenti per sostenere la sua tesi difensiva.

L’uomo si rivolge alla Corte europea che mette in discussione la decisione del supremo organo italiano e conclude affermando che “il ricorso era comprensibile e doveva essere dichiarato ammissibile”.

Secondo i Giudici di Strasburgo il ricorso doveva essere dichiarato ammissibile poiché, in relazione ai documenti menzionati nell’atto, e in base ai quali aveva sollevato le critiche alla sentenza di appello, il ricorrente ha trascritto dei brevi passaggi e ha richiamato anche il documento originario, che quindi era ben identificabile tra i vari atti che erano stati depositati con il ricorso.

Conseguentemente, la Suprema Corte è stata messa in grado di comprendere l’oggetto del ricorso, lo svolgimento della controversia nelle sedi di merito e quant’altro occorrente per giungere a una decisione di legittimità.

Ergo, la declaratoria d’inammissibilità pronunciata dalla Corte di Cassazione ha violato i principi del giusto processo sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo.

Non è giustificabile l’eccessivo formalismo nella redazione del ricorso richiesto dalla Corte di Cassazione, perché non si concilia, e non è motivato dal principio di autonomia dei ricorsi, e dallo scopo finale che è quello di garantire la certezza del diritto e l’amministrazione della giustizia.

Pertanto, viene sancito in capo all’uomo il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per euro 9.600,00.

Il formalismo ultroneo imposto dalla Corte di Cassazione per la redazione dei ricorsi costa all’Italia la violazione dell’art. 6 della CEDU perché dichiarando inammissibile il ricorso dell’imprenditore gli è stato negato il diritto ad adire l’autorità giudiziaria per far valere i suoi diritti.

Avv. Emanuela Foligno

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