“…Nondimeno sono residuati a carico della sig.ra XX una deformazione del dito nel profilo anatomico, una perdita pressoché totale della sensibilità e della capacità di prensione, una totale assenza di articolazione, oltre a cicatrici.”
Trattasi, insomma, di una donna che si fa male al IV dito della mano dx per scuoiamento da anello (rimasto agganciato al cancello) in un incidente domestico a causa del quale si reca in ospedale per le cure del caso.
In questo primo ospedale la dimettono dopo aver “steccato” il dito senza alcuna cura antibiotica e anticoagulante. Ciò comporta un’infezione e altre complicanze che obbligano la paziente a nuovi interventi e, alla fine delle cure, a subire i succitati postumi permanenti.
In primo grado un Ctu riconosce la responsabilità dei sanitari e valuta i postumi nella misura del 20% di danno biologico oltre all’invalidità temporanea, per un importo totale di circa 82000 € (come si legge nella sentenza allegata).
I giudici della Corte di Appello dopo aver fatto un excursus giurisprudenziale in tema di responsabilità sanitaria (criticandola come se avessero parenti medici condannati più volte in sede civile), alle regole di essa, correttamente, si prostrano (della serie, però, “vinti ma non convinti”) criticando e condannando:

  • l’operato della sig.ra in quanto ha la colpa di essersi fatta male, “affibbiandole” un concorso di colpa del 50%;
  • l’operato del CTU (che certamente non sarà stato un fenomeno: considerazione che nasce spontanea per i fatti che di seguito si diranno) del quale lamentano la “spropositata” valutazione della invalidità permanente e temporanea.

Adesso vorrei fare delle personali considerazioni.
In riferimento al punto 1), ditemi se un cittadino che ha un qualsiasi “sinistro” per causa accidentale o anche dolosa, debba essere “deprezzato” per concorso di chi gli ha procurato un maggior danno o la morte per colpa. E’ la prima volta che leggo una sentenza del genere e mi sembra si sia fatta una totale confusione tra il concorso di colpa nel peggiorare una situazione clinica da parte del paziente e l’evoluzione attesa di un danno evento (lesione).
Una cosa è dire che:

  • a causa dell’evento accidentale concausato dalla paziente si sarebbe avuto, in caso di un percorso terapeutico adeguato, un postumo permanente approssimativamente valutabile in …

Un’altra cosa è affermare che:

  • la condotta della paziente ha concorso al 50% nel produrre l’esito finale.

E questo perché? Per due motivi:

  1. ci sono due danni evento da considerare: uno legato alla paziente e uno legato ai sanitari, quindi il primo “naturale” e non risarcibile, il secondo colposo che produce effetti risarcibili;
  2. il concorso colposo dei sanitari ha modificato le sorti della lesione procurando un danno permanente maggiore di quello che si sarebbe atteso se ogni cura fosse stata messa in opera dai medici secondo la “best practice”.

Mentre, in riferimento al precedente punto 2), si ritiene che risulta fin troppo palese la confusione valutativa dei Giudici di Appello che hanno giocato a fare “il medico legale”.
Se le tabelle (pur se sbagliate: INAIL vs RC) potessero essere gestite da qualsiasi professionista non medico legale, allora la valutazione del danno biologico la potrebbe fare anche un qualsiasi cittadino “sveglio” con la terza media.
Infatti poter valutare i postumi permanenti evidenziati in premessa (deformazione del dito nel profilo anatomico, una perdita pressoché totale della sensibilità e della capacità di prensione, una totale assenza di articolazione, oltre a cicatrici) facendo una analogia con la perdita delle due falangi del IV dito dell’arto dominante, vorrebbe dire che la medicina legale non serve a nulla!
Probabilmente il ctu ha “sparato” la valutazione del 20% senza dare adeguata motivazione, ma solo gli esiti cicatriziali al braccio dx e la totale assenza di sensibilità e di articolarità dell’anulare vale di più dei 6 punti che, invece, sono ritenuti congrui dal Giudice relatore.
Per il fatto stesso che il ctu documenta la perdita della prensione della mano, ciò indica certamente una disfunzionalità del III, IV e V raggio della mano dx, per cui la valutazione va fatta per analogia alla perdita della funzionalità della mano evidentemente in termini di proporzionalità.
Insomma se da un lato all’interno della sentenza ci sono concetti ben chiari sull’onere della prova e sul nesso di causalità che tutti i medici forensi dovrebbero appuntarsi bene, dall’altro questa della Corte di Appello è una sentenza che va cassata senza dubbio perché viziata da concetti errati e da motivazioni che non sono di pertinenza del Giudice ma del buon Medico Legale.

 Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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