Respinto il ricorso della moglie di un lavoratore morto per una emorragia intra-cerebrale che, per i Giudici, non aveva collegamento eziologico con le lesioni sofferte in conseguenza dell’infortunio
Nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 38376/2021 nel giudicare inammissibile il ricorso presentato dalla coniuge di un uomo deceduto il 10.1.2011 che aveva agito nei confronti dell’INAIL al fine di conseguire la rendita ai superstiti e l’assegno funerario. La Corte distrettuale – nominato un nuovo consulente tecnico d’ufficio – aveva rilevato che il lavoratore, il quale aveva subito un infortunio sul lavoro in data 26.8,2005, non aveva provato, in termini di ragionevole certezza, il nesso di causalità tra l’infortunio e il decesso, ritenuto che la perizia svolta dal consulente tecnico d’ufficio in grado di appello, anche in replica alle osservazioni del consulente di parte, aveva sottolineato che l’emorragia intra-cerebrale che aveva provocato il decesso non aveva collegamento eziologico con le lesioni sofferte in conseguenza dell’infortunio.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente deduceva errata valutazione degli elementi anamnestici presenti nella documentazione prodotta in atti – errata valutazione del consulente della Corte di appello della documentazione presente nella cartella clinica (ricovero del 2011) in riferimento all’evento traumatico occorso al defunto e alle sue condizioni psicofisiche al momento dell’evento 10.1.2011 – sussistenza del nesso di causalità anche come concausa tra l’infortunio professionale occorso nel 2005 e il decesso avvenuto il 13.1.2011 – articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., avendo, il CTU, adottato risultanze illogiche, non sorrette da adeguata motivazione medico-legale oltre che documentale.
Gli Ermellini hanno evidenziato come nel caso in esame, la ricorrente non avesse indicato alcuna pubblicazione scientifica da cui evincere una correlazione causale tra i motivi di decesso del marito e la malattia professionale sofferta né l’omissione di accertamenti medici indispensabili per indagare tale nesso eziologico, limitandosi ad offrire una lettura diversa delle patologie di cui soffriva il lavoratore.
In ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio, poi, la Cassazione ha ricordato che nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale.
La Corte territoriale, avvalendosi della rinnovata nomina di un consulente tecnico d’ufficio, aveva evidenziato che non vi erano elementi sufficienti per ritenere sussistente un nesso di causalità tra patologia sofferta e decesso.
La redazione giuridica
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