A seguito dell’errata diagnosi di traslocazione cromosomica suscettibile di Sindrome di Down la coppia decideva di eseguire l’aborto

“La diagnosi del Biologo di alterazione cromosomica suscettibile di sfociare in Sindrome di Down non costituisce pratica di particolare difficoltà”: in tale senso si è espressa la Suprema Corte (Cassazione Civile, Sez. III, 10/03/2021, sentenza n. 6763 depositata il 10/03/2021). I coniugi convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo, i due Ginecologi e il Biologo per errata diagnosi di traslocazione cromosomica, suscettibile di determinare Sindrome di Down, nel feto della coppia, effettuata in una Struttura Sanitaria privata della quale i due Ginecologi erano responsabili.

A seguito di tale diagnosi, la coppia decideva per l’interruzione della gravidanza alla 22 settimana di gestazione.

Il Tribunale, espletata CTU Medico-Legale riteneva sussistente la responsabilità dei titolari della Struttura Sanitaria e del Biologo -materiale esecutore dell’esame-  e li condannava in solido al pagamento di euro 80.000,00 in favore del marito della donna, e al pagamento di euro 100.000,00 in favore della donna, a titolo di risarcimento del danno.

I tre Medici impugnavano la decisione in appello e la Corte di Palermo confermava la sentenza di primo grado.

Avverso tale decisione i tre Medici ricorrono in Cassazione con quattro motivi di censura.

  1. Come primo motivo deducono la tardività della domanda dei coniugi, formulata nelle note critiche alla CTU di responsabilità dei due titolari della Struttura.
  2. Col secondo motivo deducono contraddittorietà della sentenza impugnata per non avere affermato che il Biologo poteva essere ritenuto responsabile a titolo extracontrattuale.
  3. Come terzo motivo lamentano contraddittorietà per non avere ritenuto che la prestazione professionale del Biologo fosse di speciale difficoltà, con conseguente esclusione di responsabilità in capo allo stesso non ricorrendo l’ipotesi di colpa macroscopica.
  4. Col quarto motivo deducono insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento alla quantificazione delle poste risarcitorie liquidate agli attori.

La prima doglianza è ritenuta inammissibile, poiché la decisione d’appello,  dopo avere enunciato la motivazione nel senso della ricorrenza di una mera precisazione, e non di una mutatici libelli da parte degli attori, ha osservato che “sotto altro profilo, non può sottacersi che la qualificazione giuridica dei fatti dedotti in giudizio è demandata al Giudice e prescinde dalle allegazioni delle parti”.

E’ evidente, dunque, che la Corte palermitana ha ritenuto che il primo Giudice avesse in realtà proceduto a una qualificazione in diritto dei fatti allegati, ma di tale seconda e autonoma motivazione il ricorso null’altro aggiunge.

Tale motivo risulta inammissibile poiché non riproduce i fatti costitutivi della domanda proposta in primo grado, e impedisce di comprendere quali fossero stati quelli imputati a ciascuno dei convenuti e in particolare al Biologo.

In tale ipotesi, in sede di legittimità, non è possibile apprezzare se vi sia stata effettivamente la deduzione, sin dall’atto introduttivo del primo grado di giudizio, di una responsabilità ai sensi dell’art. 1228 c.c. pur in carenza di una sua effettiva configurazione, anche senza qualificazione conseguente in punto di diritto, nei fatti costitutivi della domanda risarcitoria proposta dai coniugi.

Anche il secondo motivo è ritenuto inammissibile. La ricostruzione come contrattuale della responsabilità dei Medici convenuti e, in particolare del Biologo, è stata adeguatamente motivata dalla Corte d’appello, e risulta corrispondente alla giurisprudenza.

Oltretutto, tale doglianza non si confronta con l’affermazione dei Giudici di merito, secondo la quale al Biologo è mosso un rimprovero di non adeguata informazione nei confronti dei coniugi al momento del riferimento della diagnosi di alterazione cromosomica suscettibile di sfociare in affezione da Sindrome di Down, precisamente: “Sindrome di Down da traslocazione robertsoniana tra il cromosoma 15 ed il cromosoma 21”, sulla necessità di un ulteriore e più approfondito esame (il FISH o il Bandeggio Q), che all’epoca (1998) era comunque disponibile e utilizzato, anche se soltanto in centri di altissima specializzazione.

Ed ancora, il secondo motivo di impugnativa non chiarisce per quale ragione a fatti risalenti al 1998 dovrebbero applicarsi i principi in tema di responsabilità extracontrattuale, in forza della legge Balduzzi che è successiva, nè affronta il tema dell’efficacia retroattiva.

Al riguardo gli Ermellini rammentano che è da escludersi la qualificazione, quantomeno con riferimento al periodo antecedente l’entrata in vigore della legge Balduzzi, come extracontrattuale della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria.

Il terzo motivo viene egualmente considerato inammissibile.

Il riconoscimento della responsabilità in capo al Biologo deriva dalla violazione dell’art. 1176 c.c., e non dalla violazione dell’art. 2236 c.c., poiché non si discorreva di caso di particolare difficoltà.

Ad ogni modo, l’apprezzamento della ricorrenza di un’ipotesi di prestazione professionale di speciale difficoltà è riservato al Giudice di merito, che ha motivato adeguatamente come il prescrivere ulteriori analisi da parte del Biologo non costituiva un incombente di particolare difficoltà.

Inoltre, i Giudici d’appello hanno affermato l’applicabilità dell’art. 2236 c.c. limitatamente alle ipotesi di imperizia, e non di negligenza/imprudenza che è la fattispecie contestata al Biologo, e tale statuizione è rimasta priva di censura.

L’ultimo motivo di ricorso, inerente il quantum liquidato alla coppia, è anch’esso ritenuto inammissibile.

Nella decisione d’appello si legge che la questione riguardante l’ammontare del danno, era stata posta senza “specifici motivi d’impugnazione in merito all’ammontare dei danni liquidati dal Tribunale: solo con la comparsa conclusionale, gli appellanti hanno tardivamente censurato la decisione del primo giudice sull’ammontare dei danni liquidati alla coppia.”

Vi è, pertanto, difetto di adeguata censura e mancanza di specificità.

In conclusione, la Suprema Corte di Cassazione dichiara inammissibili tutti i motivi e il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Le spese di lite, liquidate in complessivi euro 5.600,00, vengono poste a capo dei convenuti che vengono anche condannati al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Avv. Emanuela Foligno

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