Errato calcolo del danno morale derivante da investimento stradale

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La vittima ha citato in giudizio l’assicuratore Generali quale impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, per ottenere il risarcimento del danno morale non patrimoniale subito da un sinistro stradale per essere stato investito da un’autovettura rimasta non identificata. Il Tribunale accoglie la domanda e liquida l’importo di 54.561,35 euro a titolo di danno non patrimoniale.

Tale pronuncia, già fatta oggetto di una prima istanza per correzione di errore materiale in relazione all’errato calcolo degli interessi, veniva ulteriormente emendata su iniziativa di Generali Italia che, in relazione alla quantificazione del danno da sofferenza morale soggettiva, deduceva che alla somma liquidata a titolo di danno biologico, pari a 24.392,13 euro (e costituita dalla sommatoria di 4.500 euro, 1.000 euro e 18.892,13 euro, dovuti, rispettivamente, a titolo di inabilità temporanea assoluta, di inabilità temporanea parziale al 50% e di postumi permanenti di invalidità), fosse da aggiungersi, a titolo di danno da sofferenza morale soggettiva, un importo pari al 10% della stessa, per un totale, dunque, di 26.831,34 euro, più 317,30 euro per spese mediche.

La sentenza n. 9715/12, del Tribunale di Roma viene corretta ex art. 287 cpc (con ordinanza del medesimo Tribunale, datata 17 aprile 2014).

Il ricorso in Appello

Avverso la sentenza di primo grado corretta esperisce gravame la vittima lamentando che attraverso il suddetto procedimento di correzione non si era proceduto a rettificare un errore materiale, bensì ad interferire nel giudizio valutativo del Tribunale, avendo esso inteso liquidare a titolo di sofferenza morale non il 10% del quantum dello stretto danno biologico, bensì tale quantum (24.392,13 eurp), maggiorato del 10%, pervenendo così a 26.831,34 euro, da valere pertanto quale ristoro della sola sofferenza morale. Per altro verso, contesta anche l’attribuzione di un postumo di invalidità permanente pari al 10% e non al 14%. La Corte di appello, rigetta la prima censura e ritiene inammissibile la seconda, in ragione della sua tardività, perché l’interesse alla sua proposizione sarebbe sorto direttamente dalla sentenza precedente la correzione.

La vicenda approda in Corte di Cassazione

Viene censurata la sentenza impugnata in relazione alla disposta correzione della sentenza resa in prime cure, esito al quale la Corte di Roma è pervenuta sul rilievo che 26.831,34 euro non potessero costituire l’equivalente del solo danno non patrimoniale, mancandone il supporto normativo, rappresentando il 110% circa (più del doppio) del danno biologico, nonché contrastando con i criteri di liquidazione di cui alla c.d. Tabella di Roma, che, in relazione al 2012, contemplano l’ulteriore danno patrimoniale patito da persona di 18 anni

Si censura, inoltre, la statuizione con cui il Giudice d’appello ha ritenuto inammissibile, in quanto intempestiva, la doglianza proposta in relazione alla quantificazione nella misura del 10% (e non del 14%) dei postumi di invalidità permanente, giacché l’interesse ad impugnare non sarebbe derivato dal provvedimento di correzione.

L’intervento della Cassazione

Il ricorso viene rigettato in toto.

Il procedimento per la correzione degli errori materiali è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del Giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, senza incidenza sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione.

Pacifico ciò, il ricorrente deduce non essere in linea con tali principi il riferimento della Corte d’appello di Roma – alla quale, per l’appunto, era stato demandato di accertare se il Tribunale, nell’emendare la propria statuizione in punto di liquidazione del danno non patrimoniale da sofferenza, si fosse mantenuto entro i limiti testé indicati – alla circostanza che la somma di 26.832 euro, traducendosi nel 110% dell’importo corrispondente al danno biologico, non risultava conforme al range di oscillazione che, in base alla Tabella applicabile alla fattispecie, era compreso tra il 7,5 e il 22,5%.

Ne consegue, pertanto, che il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, decisivo per stabilire se essa abbia avallato un uso corretto (o meno) del procedimento di emenda ex art. 287 cpc, è quello in cui si assume che il dato letterale della sentenza resa in prime cure evidenziava l’esistenza dell’errore.

Ebbene, per consentire alla Cassazione di valutare la correttezza sul punto, era onere del ricorrente individuare tale dato letterale, riproducendo nel proprio atto d’impugnazione, il testo della sentenza emendata e ciò non è avvenuto perché il ricorrente si è limitato a localizzare (in calce al proprio ricorso) la sentenza del Tribunale di Roma corretta e il provvedimento di correzione, indicandoli quali documenti prodotti sub 4) e 5).

Il danno morale permanente

Ad ogni modo, il provvedimento di correzione non ha inciso sul contenuto della statuizione inerente il danno biologico permanente. Il ricorrente pretende di correlare il proprio sopravvenuto interesse a impugnare la stessa alla circostanza che egli, fino a quel momento, aveva ritenuto di poter compensare con la possibile ingiustizia consistente nell’attribuzione di Euro 26.832,00 come sofferenza morale soggettiva, “quel di più” correlato all’altra richiesta, rimasta insoddisfatta di riconoscimento dei postumi permanenti nella misura del 14% e non del 10%.

La Cassazione, concludendo, rigetta il ricorso compensando integralmente tra le parti le spese di lite (Corte di Cassazione, III civile, 5 novembre 2024, n. 28409).

Avv. Emanuela Foligno

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