Errato trattamento medico, invalidità pregressa non riduce danno parentale

0
errato trattamento medico

Accolto il ricorso della sorella di un uomo deceduto per errato trattamento medico in relazione alla definizione del danno da perdita del rapporto parentale

Escludendo che sia possibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., al ristretto ambito della sola c.d. famiglia nucleare, il danno da perdita del rapporto parentale, in quanto danno iure proprio dei congiunti, è risarcibile ove venga provata l’effettività e la consistenza di tale relazione, e in particolare l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza, quest’ultima non assurgendo a connotato minimo di relativa esistenza. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 18284/2021 pronunciandosi sul ricorso di una donna contro l’accoglimento parziale, da parte dei giudici del merito, della sua richiesta volta ad ottenere da una struttura sanitaria il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale subito in conseguenza del decesso del fratello, avvenuto 40 giorni dopo un intervento chirurgico per ischemia cerebrale ed altro a cagione di errato trattamento medico (dosaggio profilattico anziché somministrazione di eparina).

Nel rivolgersi alla Suprema Corte la ricorrente si doleva che la corte di appello, dopo aver affermato che erroneamente il giudice di prime cure aveva quantificato equitativamente il danno considerando anche il “pregresso stato di salute del de cuius” – atteso che come precisato dalla giurisprudenza di legittimità tale stato può rilevare ai fini della riduzione del quantum dei pregiudizi risarcibili ai congiunti iure successionis, ma non anche per i danni risarcibili iure proprio – aveva poi contraddittoriamente ritenuto comunque congrua la liquidazione (di 40.000,00 euro) operata dal Tribunale. La donna lamentava che “tale scelta è in contrasto non solo con la giurisprudenza…ma anche in considerazione di…pronunce che hanno evidenziato come ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale il pregresso stato di salute non necessariamente è tale da incidere in senso riduttivo quale elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale dei suoi famigliari atteso che secondo l’id quod plerumque accidit affezioni o patologie di un congiunto intensificano, piuttosto che diminuiscono, il legame emotivo con gli altri parenti”. Eccepiva, quindi, che a fronte dello stretto legame tra i fratelli ravvisato dal giudice di prime cure e in assenza di impugnazione sul punto, con evidente vizio di extrapetizione, la corte di merito fosse pervenuta a rideterminare il quantum risarcitorio “in misura eguale a quella del giudice di primo grado, rivalutando in maniera sminuente il rapporto affettivo tra la sorella maggiore ed il defunto”.

Gli Ermellini hanno effettivamente ritenuto di aderire alla doglianza proposta.

Dal Palazzaccio hanno evidenziato che, come già posto in rilievo dalla giurisprudenza di legittimità, “la morte di un prossimo congiunto determina per i prossimi congiunti superstiti un danno iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, in particolare in conseguenza dell’irreversibile venir meno del godimento del rapporto personale con il congiunto defunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale) anzitutto (anche se non solo) nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore) cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell’altro”.

L’evento morte determina per i congiunti superstiti la perdita di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti, con conseguente violazione di interessi essenziali della persona quali il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, di diritto o di fatto, che trovano rispettivo riconoscimento nelle norme di cui agli artt. 2, 29, 30, Cost. Da tale perdita può al congiunto superstite derivare un danno morale (sofferenza interiore o emotiva) e/o un danno biologico relazionale, laddove venga a risultare intaccata l’integrità psicofisica del medesimo con riflessi sulla sua capacità di relazionarsi con il modo esterno, financo di carattere eccezionale laddove venga a determinare per il medesimo fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita.

Il danno da perdita del rapporto parentale – ha specificato poi la Cassazione – si differenzia invero dai pregiudizi dai congiunti superstiti subiti iure hereditatis. Diversamente dal danno patrimoniale – il cui ristoro deve normalmente corrispondere alla sua esatta commisurazione valendo a rimuovere il pregiudizio economico subito dal danneggiato e a restituire al patrimonio del medesimo la consistenza che avrebbe avuto senza il verificarsi del fatto stesso, sicché viene in rilievo il danno effettivo, avuto cioè riguardo all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l’arricchimento laddove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro – il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può invece mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto sempre la valutazione equitativa.

Attenendo alla qualificazione e non già all’individuazione del danno, la valutazione equitativa è volta a determinare “la compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio, quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa” e deve essere “dal giudice condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, considerandosi in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravità della lesione”.

Il danno non patrimoniale non può essere in ogni caso liquidato in termini puramente simbolici o irrisori o comunque non correlati all’effettiva natura o entità del danno, ma deve essere congruo. E’ invero compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul patrimonio e sul valore persona si siano verificate, e provvedendo al relativo integrale ristoro non patrimoniale.

La redazione giuridica

Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui

Leggi anche:

Shock settico per sepsi multipla contratta durante il ricovero

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui