Il delitto di violenza privata è inserito nel codice penale tra i reati contro la libertà individuale e morale della persona; l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni è invece, delitto contro l’amministrazione della giustizia

Interessante la disamina contenuta nella sentenza n. 8710/2019 della Corte di Cassazione in ordine alle differenze tra il reato di violenza privata e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

La vicenda

Era stato accusato del reato di violenza privata per aver costretto, con minacce, la persona offesa a firmare una lettera di dimissioni volontarie, che lo estrometteva dalla proprietà della quota del33%, di una società cooperativa di alloggio per anziani, della quale sua moglie era socia, paventandogli gravi conseguenze ed avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’ambito della fattispecie criminosa del delitto di violenza privata (di cui all’art. 610 c.p.), il requisito della violenza s’identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017).
Posta tale premessa, ai fini di una netta demarcazione tra i reati di violenza privata e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, va rammentato che, secondo gli arresti giurisprudenziali più recenti, non sono integrati i presupposti del reato di cui all’art. 393 c.p., bensì quelli del reato di violenza privata, allorché il diritto rivendicato non coincida con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria. (Sez. 5, n. 10133 del 05/02/2018).

La decisione

I giudici della Cassazione hanno anche aggiunto che “in tema di violenza privata, costituisce elemento della condotta materiale del reato la privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa dal reato, costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, mentre è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo”. (Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003).
Nel caso in esame, è stata ritenuta corretta la ricostruzione operata dai giudici di merito che avevano ravvisato nella condotta dell’imputato, il perfezionamento di tale ultimo reato, essendosi consumato all’atto della sottoscrizione forzosa, da parte della persona offesa, della lettera di dimissioni.

La redazione giuridica

 
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