Respinto il ricorso dell’Inail contro la decisione dei giudici di merito di risarcire i congiunti di un uomo, morto per l’esposizione alle polveri di amianto sul luogo di lavoro

In materia di esercizio di attività pericolose ed esposizione alle polveri di amianto dei lavoratori, la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 cc, pur non configurando una ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psico-fisica e la salute del luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.

E’ il principio giurisprudenziale a cui si è uniformata la Cassazione con la ordinanza n. 6182/2020 pronunciandosi sul ricorso dell’Inail contro le sentenze di merito che avevano riconosciuto alla moglie e ai figli di un uomo deceduto in conseguenza di un mesotelioma pleurico, il risarcimento del danno non patrimoniale spettante al de cuius per la malattia contratta, dedotto quanto già percepito dall’Istituto a copertura del danno biologico fino al decesso, nonché il risarcimento dei danni spettanti agli eredi stessi iure proprio per la perdita del congiunto.

Il tribunale, in particolare, aveva condannato la convenuta a risarcire il danno biologico differenziale in euro 164.416,09 a tutti gli eredi pro quota nonché il danno non patrimoniale diretto liquidato in euro 200.000,00 ciascuno. La Corte di appello aveva confermato la decisione in ordine alla responsabilità nella causazione dell’evento di parte datoriale, al nesso di causalità tra la condotta e l’evento nonché alla misura del risarcimento del danno.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte l’Inail contestava alla Corte territoriale di aver erroneamente ritenuto la sussistenza del nesso causale per il semplice rilievo della esistenza di un comportamento colposo addebitabile alla società, senza alcuna precisazione, peraltro, se detta condotta avesse influito o meno nella determinazione della patologia e quindi dell’evento morte, sia sotto il profilo della mancata adozione di misure idonee a prevenire i rischi connessi alla patologia de qua sia con riguardo all’accertamento dei valori di esposizione alle polveri cui sarebbe stato soggetto il lavoratore.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto infondato il motivo di doglianza.

Per la Cassazione, infatti, i giudici del merito avevano correttamente accertato che, nell’espletamento del proprio lavoro, il lavoratore defunto era stato esposto in maniera continuativa alla inalazione di fibre di amianto senza che il datore di lavoro avesse al riguardo adottato alcuna idonea cautela per evitarlo.

La sentenza aveva, altresì, accertato che all’epoca dei fatti era nota la pericolosità dell’amianto, tanto è che l’art. 21 del DPR n. 303 del 1956 prevedeva particolari cautele dirette a prevenire il rischio di malattie respiratorie connesse alla inalazione di polveri anche di amianto, tra le quali la malattia del mesotelioma.

La pronuncia impugnata aveva ribadito poi la necessità che in un ambiente di lavoro polveroso e nell’impossibilità di sostituire il materiale tossico, quanto meno vi fosse l’obbligo di fare svolgere il lavoro solo in presenza di sistemi di aspirazione e di raccolta di polveri idonei ad impedire la diffusione e ad evitare che le polveri stesse rientrassero nell’ambiente lavorativo: nel caso in esame, invece, l’utilizzo delle mascherine era risultato essere saltuario e senza alcun controllo mentre gli aspiratori posizionati sui forni, che servivano a movimentare l’aria, verosimilmente ottenevano il risultato di produrre una maggiore diffusione delle polveri nel capannone anziché rimuoverle.

I controlli radiologici, infine, cui venivano sottoposti i lavoratori, non rivestivano alcuna finalità preventiva atteso che le evidenze radiologiche si realizzavano spesso quando il male si era già irreversibilmente innescato.

La redazione giuridica

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Riconosciuta malattia professionale per deficit ventilatorio restrittivo

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui