Negato, per mancanza di prove, il risarcimento per le lesioni riportate da un pedone in seguito al sinistro, asseritamente dovuto alla presenza di un fessura non visibile sotto al marciapiede
Non sussiste responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. per le cose in custodia, qualora il danneggiato si astenga dal fornire qualsiasi prova circa la dinamica dell’incidente e il nesso eziologico tra il danno e la cosa, essendo, infatti, egli onerato dal dimostrare “l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa” . Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 21395/2021 pronunciandosi sul ricorso di un uomo che si era visto respingere, in sede di merito, la richiesta di ristoro avanzata al Comune per i danni subiti in conseguenza di una caduta occorsagli allorché il suo piede sinistro finiva all’interno di una fessura non visibile sotto al marciapiede.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, “erronea applicazione della responsabilità per cose in custodia”, ovvero “violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ.”, sul rilievo che la sentenza impugnata aveva posto a suo carico un onore probatorio non contemplato dalla norma “de qua’, addebitandogli di non aver fornito “alcuna documentazione fotografica” affinché si potesse “effettivamente affermare” che egli si fosse “trovato di fronte ad un’insidia” e che il sinistro stesso fosse “stato causato dalla presenza in loco, tra due auto in sosta, di una semplice fessurazione”.
Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto la doglianza manifestamente infondata.
La sentenza impugnata, infatti, aveva correttamente escluso, per un verso, che fosse stata fornita prova del nesso causale tra la fessurazione presente sotto il marciapiede e l’evento dannoso occorso alla parte danneggiata, pervenendo a tale conclusione facendo proprio il rilievo espresso dal primo giudice secondo cui la pretesa risarcitoria azionata “si fonda sull’unica testimonianza resa dalla teste di parte attrice”, la quale ha “però riferito di non aver assistito al sinistro di cui è causa essendo sopraggiunta solo in un secondo momento”, donde la conclusione relativa all’impossibilità di affermare “che il sinistro stesso sia stato causato dalla presenza in loco, tra le due auto in sosta, di una semplice fessurazione”.
Tale affermazione, lungi dal presupporre un onore probatorio non previsto a carico di chi invochi la responsabilità da cose in custodia, risultava, viceversa, conforme alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza di legittimità.
La normativa “non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l’evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall’ordinaria diligenza del custode”; pertanto, occorre che il preteso danneggiato dimostri almeno la sussistenza del nesso causale tra “res” e danno, giacché, altrimenti, quella prevista dall’art. 2051 cod. civ. sarebbe una fattispecie fondata su un criterio addirittura stocastico di imputazione della responsabilità.
La redazione giuridica
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