L’entità dell’assegno di mantenimento che il padre naturale divorziato è obbligato a versare in favore delle figlie, può essere ridotto qualora queste ultime siano state adottate dal nuovo marito dell’ex moglie, che provvede regolarmente alle loro esigenze

La regolamentazione dell’assegno in favore delle figlie

Dichiarata la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, marito e moglie regolamentarono la contribuzione del padre al mantenimento delle due figlie, ottenendo dal Tribunale di Terni, l’omologa dell’accordo, così raggiunto: 700,00 euro mensili per la prima, nata nel 1991, e 500,00 euro mensili per la seconda, nata nel 1997, questi ultimi da corrispondere alla madre.

Con successivo ricorso il padre delle due ragazze chiese al Tribunale di Spoleto la modifica di tali condizioni, in particolare, l’esclusione o la sensibile diminuzione dell’assegno in favore della prima figlia e la riduzione dell’assegno in favore dell’altra, adducendo la sopravvenienza di fatti rilevanti idonei a ridefinire quei rapporti economici, tra cui il nuovo matrimonio contratto dalle ex moglie e l’avvenuta adozione, da parte del nuovo marito di quest’ultima, di entrambe le figlie ormai maggiorenni.

All’esito del giudizio di primo grado, l’adito tribunale dispose la revoca del contributo in favore della prima figlia e la riduzione dell’assegno mensile per la seconda.

La Corte di appello di Perugia, adita con distinti reclami dalle due ragazze, ripristinò invece, l’originario obbligo in capo al loro padre naturale di versarle un assegno di mantenimento mensile di 700,00 euro, oltre rivalutazione.

La vicenda è così giunta dinanzi ai giudici della Prima Sezione Civile della Cassazione, su ricorso del genitore.

Il Supremo Collegio ha in primo luogo ribadito che: i) «l’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori. Ne consegue che il coniuge separato o divorziato, già affidatario è legittimato, iure proprio (ed in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio, che trova fondamento nella titolarità, in capo a quest’ultimo, del diritto al mantenimento), ad ottenere dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne» (cfr. Cass. n. 32529 del 2018; Cass. n. 9698 del 2001; Cass. n. 1353 del 1999); ii) «il diritto del coniuge separato di ottenere un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo abbia iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore, sicché l’eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento» (cfr. Cass. n. 6509 del 2017; Cass. n. 26259 del 2005); iii) «la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto» (Cass. n. 5088 del 2018; Cass. n. 12952 del 2016).

Nel caso in esame, il ricorrente aveva posto in discussione il diritto delle sue figlie al mantenimento, dal momento che i loro rapporti erano totalmente assenti e non vi era più quel legame affettivo, essendo queste ultime inserite nel nuovo contesto familiare, a maggior ragione dopo l’avvenuta adozione da parte del nuovo compagno della madre, che ormai da tempo si occupava delle loro esigenze, mantenendole e provvedendo, puntualmente e continuativamente, alle loro necessità quotidiane.

Ebbene, tali argomenti, pur in astratto, corretti non sono stati ritenuti sufficienti ad escludere l’obbligo di mantenimento a carico del ricorrente in favore delle due figlie. 

“Non è possibile affermare – hanno chiarito gli Ermellini – che l’adottante abbia l’obbligo giuridico di contribuire al mantenimento del da lui adottato figlio maggiorenne di colei che, già divorziata, abbia sposato, né che il padre di colui che poi sia stato adottato non sia più tenuto ad un tale mantenimento: nel primo caso, infatti, mancherebbe la norma impositiva di detto obbligo (non sembrando essa individuabile nel già citato art. 436 cod. civ., riguardante il più limitato obbligo agli alimenti, che postula, però, giusta l’art. 438, comma 1, cod. civ., l’esistenza di uno stato di bisogno, difficilmente ipotizzabile se il padre ottemperi al suo obbligo di mantenimento); nel secondo, invece, ci si troverebbe in aperto contrasto con l’art. 300, comma 1, cod. civ., a tenore del quale, l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge”.

La Cassazione ha pertanto, affermato che “il persistere dell’obbligo di contribuzione al mantenimento delle figlie, benché maggiorenni, non può essere escluso per il solo fatto della sopravvenuta loro adozione, ex art. 291 e ss. cod. civ., da parte del nuovo compagno della madre, stante il chiarissimo disposto dell’art. 300, comma 1, cod. civ. (l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge)”; ma allo stesso tempo “è ragionevolmente innegabile che l’entità di tale mantenimento non possa non tener conto della duplice circostanza fattuale che (i) entrambe le figlie, per effetto dell’adozione, erano ormai stabilmente inserite nel contesto familiare creatosi per effetto del matrimonio contratto con quest’ultimo dalla loro madre, e che (ii) il padre adottivo avesse provveduto continuativamente, e non solo occasionalmente, anche alle loro esigenze e necessità quotidiane: l’attuale entità di detto mantenimento dovuto dal padre naturale, quindi, – ben potrebbe essere variata per effetto dell’apporto economico comunque fornito anche dall’adottante alle necessità ed ai bisogni dell’adottato”.

La decisione

Di tanto la corte distrettuale non aveva tenuto conto, perciò la il Supremo Collegio (sentenza n. 7555/2020) ha accolto il motivo di ricorso e cassato l’impugnato decreto, rinviando la causa ad altra sezione della Corte di appello di Perugia.

La redazione giuridica

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