Risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi “abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia”

Era stato condannato in sede di merito a otto mesi di reclusione e 180 euro di multa per il reato di furto consumato (con la recidiva reiterata infraquinquennale). L’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, lamentando violazione di legge e vizi motivazionali in relazione al mancato riconoscimento del reato nella forma tentata. A suo giudizio, infatti, l’intera azione furtiva era avvenuta sotto la costante sorveglianza delle forze dell’ordine e tale condotta aveva impedito che risultasse integrato il requisito dell’impossessamento della refurtiva.

I Giudici della Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 1360/2020 hanno ritenuto il ricorso proposto inammissibile poiché manifestamente infondato.

In particolare, gli Ermellini hanno evidenziato che la corte territoriale aveva fatto corretta applicazione dei principi che individuano il momento di consumazione del delitto di furto, in quanto il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva. Risponde infatti di furto consumato e non semplicemente tentato “chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia”.

Ai fini della configurazione dell’autonoma disponibilità della cosa, che segna il momento acquisitivo a cui l’impossessamento è funzionale, non rileva il dato temporale ex se.

E’ sufficiente che l’agente abbia conseguito anche solo momentaneamente l’esclusiva signoria di fatto sul bene. Assume, invece, decisivo rilievo la effettiva concretizzazione del rischio di definitiva dispersione, anche se questa non si sia, di fatto, realizzata per l’intervento di fattori causali successivi ed autonomi. In altri termini, l’agente acquisisce l’autonoma disponibilità della cosa sottratta -e la fattispecie si realizza in forma consumata-solo quando il soggetto passivo del reato ne perda, correlativamente, la detenzione, anche mediata attraverso forme indirette di vigilanza e custodia.

Ai fini della ravvisabilità del tentativo – sottolineano ancora dal Palazzaccio –  occorre che il complesso delle cautele adottate dal soggetto passivo del reato consenta un contestuale intervento impeditivo che, di fatto, precluda all’agente l’esercizio di autonomi poteri dispositivi sulla cosa, escludendo ex ante il pericolo di definitiva dispersione del bene sottratto. L’osservazione a distanza non assume rilevanza ai fini della configurabilità del reato nella forma tentata poiché tale “studio” non solo non avviene ad opera della persona offesa, ma neppure impedisce il conseguimento dell’autonomo possesso della res, prima dell’arresto in flagranza.

Nel caso in esame, quindi, il giudice di merito aveva correttamente ritenuto configurata la concreta fattispecie nella forma consumata.

Nonostante il monitoraggio dell’azione antigiuridica, realizzato attraverso la predisposizione di un servizio di osservazione e controllo – che, di fatto, ha consentito l’arresto in flagranza – gli agenti hanno potuto completare l’impossessamento della borsa portandola fuori dall’esercizio commerciale. La mera presenza del dispositivo di monitoraggio, in assenza di ulteriori misure di custodia immediatamente attivabili con funzione impeditiva, non ha, dunque, neutralizzato il pericolo di illecita apprensione del bene, ma ne ha solo agevolato la constatazione.

La redazione giuridica

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