La dimostrazione della sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 649 c.p., derivanti dalla convivenza stabile, anche atipica, era onere dell’imputato, rimasto inadempiuto

Cosi i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno confermato la condanna posta a carico dell’imputata per furto di alcuni oggetti d’oro, commesso in casa dell’ex convivente.

La vicenda

Confermata in appello la sentenza di condanna a sei mesi di reclusione e 120 euro di multa, (con il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale) pronunciata dal Tribunale di Terni, a carico di una donna, accusata di essersi impossessata di monili e di un orologio d’oro, sottraendoli all’ex compagno che li deteneva presso la sua abitazione.

La sentenza è stata impugnata con ricorso per Cassazione, per il tramite del difensore di fiducia della imputata, deducendo, tra gli altri motivi, l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p., in relazione alla mancata estensione della causa di non punibilità ivi prevista, al convivente more uxorio; i due erano infatti, conviventi da oltre sette anni.

Al riguardo, la difesa ha citato la normativa introdotta, da ultimo, in tema di regolamentazione delle unioni civili, con L. 20 maggio 2016, n. 76, che ha modificato con la L. 19 gennaio 2017, n. 6, l’art. 649 c.p., comma 1-bis, introducendo la causa di non punibilità nel caso di fatti commessi in danno di persone delle stesso sesso, per unioni civili. Alla luce di tale nuova disposizione, a detta del ricorrente risulterebbe irragionevole l’esclusione della causa di non punibilità in caso di conviventi more uxorio.

Ma la questione è stata dichiarata manifestamente infondata.

Il citato D.Lgs. n. 19 gennaio 2017, n. 6, recante modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi della L. 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 28, lett. c), ha introdotto nell’art. 574-ter, c.p.. Tale norma prevede che, agli effetti della legge penale, il termine matrimonio si intende riferito anche alla costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Parallelamente è stato introdotto l’art. 649, comma 1-bis, in base al quale la causa di non punibilità opera anche nei confronti di chi ha commesso alcuno dei fatti di cui al Titolo XIII, Libro II, in danno della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Orbene tale duplice, contestuale, intervento, sembra rendere palese l’intento del legislatore di attribuire rilievo, ai fini dell’operatività della causa di esclusione della punibilità in questione, all’esistenza di una convivenza qualificata, differenziandola rispetto a quella more uxorio; differenza significativa sulla quale, la Corte costituzionale si è già espressa, con ordinanza del 21 febbraio 2018 n. 57.

In tale sede il giudice delle leggi ha dichiarato manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p., comma 1, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui, a seguito della novella apportata dal D.Lgs. n. 6 del 2017, sancisce che la causa di non punibilità prevista per i delitti contro il patrimonio, operi anche a beneficio della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e non anche del convivente more uxorio.

In ogni caso resta centrale, ai fini della rilevanza della questione di costituzionalità sollevata, la sussistenza di precise indicazioni sulla natura della unione che legava i coabitanti al momento del furto.

Ciò in quanto la giurisprudenza della Corte costituzionale, investita anche in occasioni pregresse, sul punto ha sempre sottolineato la non meccanica assimilabilità tra la convivenza e il rapporto di coniugio, in quanto la prima risulta basata sulla quotidiana affectio, in qualsiasi momento revocabile e, dunque, non sempre dotata dei caratteri di certezza e di tendenziale stabilità, propri del vincolo coniugale, questi ultimi incontrovertibilmente e documentalmente riscontrabili in sede di risultanze anagrafiche, nel caso di unione qualificata.

Quanto alla fattispecie in esame – hanno osservato i giudici della Suprema Corte (sentenza n. 37873/2019) – non risultava dimostrata con certezza la qualità (e la stabilità) della convivenza tra le parti; la sentenza della corte d’appello era perciò corretta e immune da vizi, soprattutto tenendo conto della prossimità della data della sottrazione rispetto a quella indicata come di definitiva interruzione del rapporto di convivenza.

E del resto, “la dimostrazione della sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 649 c.p., derivanti dalla convivenza stabile, anche atipica, era onere dell’imputato, rimasto inadempiuto”.

La redazione giuridica

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