Il furto all’interno di uno studio legale può essere considerato furto in abitazione ai sensi dell’art. 624 bis c.p.? E’ quello di cui si occupa una recente sentenza della Cassazione n. 24438/2019

Il furto in abitazione presuppone la qualificazione giuridica del luogo ove è stato commesso il reato, come privata dimora. Secondo la più accreditata giurisprudenza di legittimità, ricorre tale requisito quando si tratta di luoghi nei quali “si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale”.

La vicenda

La Corte d’Appello di Bari aveva confermato la pronunzia di condanna in primo grado alla pena di giustizia nei confronti dell’imputato, per il delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624 bis c.p.

Invero il fatto illecito si era verificato all’interno di uno studio legale durante l’ora di pausa. A detta della difesa tale qualificazione giuridica era senz’altro erronea e priva di logicità. Presentava pertanto, ricorso ai giudici della Cassazione.

Ebbene anche i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto la motivazione adottata dalla Corte territoriale circa la qualifica dello studio legale come luogo di privata dimora nelle ore di pausa dell’attività professionale, “non perfettamente coerente con la più recente elaborazione giurisprudenziale, secondo la quale anche i luoghi destinati allo svolgimento di attività lavorativa e/o professionale sono qualificabili, nel ricorrere di determinati presupposti di fatto, come luoghi di privata dimora ai sensi della norma incriminatrice in parola”.

Al riguardo le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza D’Amico (n. 31345 del 23/03/2017), hanno chiarito che ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico, nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.

Per sintetizzare è necessario che ricorrano i seguenti elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata – come riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere – in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare”.

Il furto nei luoghi adibiti ad attività professionale

Quanto ai luoghi ove si svolge l’attività lavorativa è stato specificato che “essendo luoghi per definizione, generalmente, accessibili ad una pluralità di soggetti, anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto, rispetto ad essi è escluso carattere di riservatezza”.

Ciò non toglie, tuttavia, che possa applicarsi la disciplina dettata dall’art. 624 bis c.p. laddove i suddetti luoghi presentino le caratteristiche proprie dell’abitazione; dovendo in tal caso, il giudice di merito, procedere ad una valutazione di fatto, caso per caso.

Ebbene, nel caso in esame, il tentativo di furto perpetrato ai danni dello studio legale era stato correttamente qualificato ai sensi dell’art. 624 bis c.p., pur se la precisazione secondo la quale la predetta qualificazione era stata operata in funzione delle possibili ore di pausa dall’attività lavorativa era ininfluente ed in una certa misura fuorviante.

Il ricorso è stato perciò respinto e confermata, in via definitiva, la sanzione a carico dell’imputato.

La redazione giuridica

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