Chi scrive è Daniele Picco, papà di una bimba disabile in stato di gravità. Combatte da diverso di tempo una battaglia con le Istituzioni del nostro paese, affinché si garantisca il lavoro alle famiglie in cui è presente un figlio con una disabilità grave in modo che, alle meravigliose difficoltà quotidiane del vivere con questi bimbi speciali, non si sommino anche quelle dovute alla perdita del lavoro. Una petizione su Change.org.

«Gentile Signor Presidente della Repubblica, le scrivo da cittadino, padre di una bambina con un handicap in stato di gravità, profondamente indignato e vittima di un Paese incapace di tutelare le famiglie in difficoltà. Sono un pilota di una piccola compagnia aerea con base nel Nord Italia, che dopo la vendita a una major straniera, ha recentemente fatto ricorso alla CIGS [Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, N.d.R.]. Io sono tra i lavoratori del comparto che ne sono attualmente oggetto e che fra tre anni saranno destinati alla mobilità. Sono un papà divorziato di due bellissimi bimbi. Asya, la maggiore, è affetta da una rara forma di delezione cromosomica e vive su una carrozzina dalla nascita. È stata affidata a me, con l’aiuto dei miei genitori. A causa del suo problema, Asya è rimasta, nelle capacità psicomotorie, come una bimba di pochi mesi di vita.

Non parla, non cammina, non è capace di alimentarsi da sola e mangia solo cibi omogeneizzati. Dev’essere assistita in tutto, anche nei bisogni quotidiani. Oltre a questo, purtroppo, Asya è non vedente e soffre di attacchi di epilessia. Ho la fortuna di essere custodito da altri tre “angeli”, i miei genitori e la mia compagna, che mi hanno consentito di assistere Asya fino ad oggi. Da novembre vivo in una nuova casa che ho costruito annessa all’abitazione dei miei genitori e progettata sulle necessita di una bimba non autosufficiente che vive tra un tappeto ortopedico e una carrozzina. Dalla sentenza di separazione dalla mia ex moglie, Asya ha vissuto presso la casa dei miei genitori a San Daniele del Friuli. Inoltre, dal mese di novembre del 2012, quando è rientrata nel mio stato di famiglia presso la nuova casa, godo dei permessi per l’assistenza garantiti dalla Legge 104/92.

Sono stato un tenente colonnello dell’Aeronautica Militare e mi sono occupato, per vent’anni, della difesa aerea di questo Paese. Ho avuto la fortuna e l’onore di gestire, come responsabile del progetto, l’in-servicing operativo del nuovo velivolo in forza all’Aeronautica Militare chiamato Eurofighter Typhoon. Per tale attività mi sono stati conferiti importanti riconoscimenti. Ho lasciato il servizio attivo, da comandante del IX Gruppo Caccia, nel dicembre del 2008, quando ho iniziato il lavoro da pilota civile, per dare ad Asya quella condizione di vita stabile senza la quale non sopravvivrebbe. Ciò significa – come accennato – una casa senza barriere architettoniche strutturata in funzione delle sue specifiche necessita, un’organizzazione scolastica per bimbi con disabilità grave presente nella mia Regione e, non ultimo, l’aiuto della mia famiglia. Tutte condizioni che non posso trovare altrove e che non avrei potuto garantirle come Ufficiale del Ruolo Normale dell’Aeronautica Militare.

Oggi, come ho detto, rappresento una famiglia in difficoltà. Lavorativa. Economica. Assistenziale. La nuova “flessibilità” del lavoro, infatti, è difficilmente compatibile con una situazione di handicap in stato di gravità. A differenza dei miei colleghi in situazioni di “normalità”, io non potrò cercare migliori fortune presso compagnie estere, uniche opportunità lavorative attualmente presenti per chi svolge questo tipo di occupazione. L’attuale Cassa Integrazione – pur compensata dal Fondo Speciale – è appena sufficiente a garantire la sussistenza familiare e il mutuo della casa. La situazione economica conseguente alla mobilità a cui sono destinato non lo sarà. I miei genitori – vera colonna portante di questa difficile situazione – sono due settantenni che sfortunatamente dagli angeli non hanno ereditato l’immortalità! La vita quotidiana di questa famiglia è basata su un delicato equilibrio di collaborazioni in cui la mia presenza é comunque necessaria, e lo sarà sempre più. Lavorare all’estero, dunque, non è per me un’opzione percorribile e a meno di una soluzione, io e la mia famiglia nel prossimo futuro diverremo un “peso sociale”.

Durante questa difficile vicenda lavorativa, sono stato oggetto – assieme ad altri colleghi che vivono situazioni simili alla mia – di un’iniziativa di solidarietà che proponeva l’inclusione dei piloti in condizioni familiari di difficoltà nell’elenco degli equipaggi che sarebbero transitati sul nuovo velivolo, con il quale la compagnia continua a fare profitto. Ma tale iniziativa è fallita per l’opposizione del rappresentante sindacale di una delle sigle presenti in azienda, che ha invece sostenuto il criterio di anzianità aziendale, previsto dal Contratto di Lavoro e sostanziato nell’accordo per la CIGS. Infatti, l’impianto normativo nazionale fa sì che, in presenza di un accordo sindacale tra le parti, esso abbia la prevalenza, all’atto del licenziamento, anche sui carichi familiari, né la Legge 104 protegge in alcun modo dalla perdita del lavoro.

Ebbene, ritengo tutto ciò non degno di un Paese socialmente evoluto e di certo non in linea con i princìpi elementari di tutela delle famiglie, come quella di Asya, impossibilitate a muoversi dai luoghi in cui l’handicap le costringe. Privare la famiglia di Asya dell’unica fonte di reddito, in una situazione della quale lo Stato riconosce la gravità, ritengo sia incongruente con i princìpi fondanti della Carta Costituzionale, ovvero la stessa dignità e le pari opportunità lavorative per chi vive con le “catene della disabilità”, siano esse proprie o su chi deve garantire la sopravvivenza del “diversamente fortunato”. Credo pertanto doveroso proporre a lei, Signor Presidente della Repubblica, al Signor Presidente del Consiglio, al Signor Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia e ai responsabili dei Ministeri del Lavoro e delle Pari Opportunità, nonché al Dipartimento delle Politiche per la Famiglia, una revisione dell’attuale impianto normativo che regola le tutele in ambito lavorativo delle persone con disabilità o dei loro tutori, qualora non siano autosufficienti.

Ritengo inoltre doveroso sottolineare che, seppure il Legislatore abbia voluto assegnare alle rappresentanze sindacali la giusta prevalenza nella tutela dei lavoratori, consentire che esse possano deviare da principi elementari di civiltà e umanità nei confronti di situazioni di oggettiva difficoltà, sia da correggere attraverso norma. Desidero infine informarla che porterò la problematica all’attenzione della Corte di Giustizia Europea, affinché una chiara situazione di inciviltà nazionale possa essere un valido spunto a correggere eventuali situazioni similmente incivili in tutti i Paesi dell’Unione e questo perché sono convinto che gli “anni oscuri” in cui, di fronte all’handicap era più facile girarsi dall’altra parte, debbano trovare finalmente luce. Un Paese che non tutela una famiglia in una condizione di handicap in stato di gravità, assicurandosi che un’azienda che continua ad operare sul mercato non privi il genitore del proprio lavoro (unica fonte di reddito), non è un Paese degno di essere considerato civile, e sono certo che lei, Primo Cittadino di questa Meravigliosa Italia che ho servito con orgoglio per molti anni, saprà capire il mio rammarico». La lettera riproposta è apparsa sul sito superando.it.

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2 Commenti

  1. In uno stato che funziona bene, obbligatoriamente socialista (nemmeno oso proporre un sistema libertariano) , non c’è nemmeno bisogno di garantire il lavoro ai genitori di figli disabili. Il rischio che corri è dover creare, spesso dal nulla, un lavoro per gente che può o può non meritarlo, o peggio, doverlo togliere da chi lo merita solo perché non ha un figlio disabile. Quello invece che deve essere garantito è l’assistenza in base alla gravità dell’handicap del figlio.

    • Carissimo sono d’accordo su fatto che il lavoro va garantito ai genitori di figli gravemente disabili e modulato nel seno della stessa famiglia: un genitore al lavoro, l’altro insieme al figlio

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