Anche ove i sanitari non avessero tardato l’assistenza della gestante, il piccolo sarebbe comunque nato con gravi patologie neurologiche, stante la patologia coagulativa-trombofilica di cui la mamma era portatrice

Avevano citato in giudizio, in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio, l’Azienda Sanitaria Regionale chiedendo il risarcimento del danno per le gravi patologie neurologiche del minore, conseguenza delle negligenze e dei ritardi dei sanitari.

Il Tribunale adito, previa CTU, e reputato che il 40% del danno restasse a carico della parte danneggiata per il concorso della patologia di cui era portatrice la madre, aveva accolto la domanda, condannando la convenuta al pagamento in favore degli attori, quali legali rappresentanti del minore, della somma di Euro 903.661,50 a titolo di danno non patrimoniale e della somma di Euro 210.203,28 per danno patrimoniale, nonché in favore degli attori in proprio della somma di Euro 108.000,00 a titolo di danno patrimoniale ed in favore di ciascuno degli stessi in proprio Euro 120.000,00 per danno non patrimoniale.

La Corte d’appello aveva accolto parzialmente l’appello della coppia, condannando la convenuta al pagamento degli ulteriori importi in favore del minore di Euro 602.441,00 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 140.135,52 per danno patrimoniale ed in favore dei genitori di Euro 72.000,00 a titolo di danno patrimoniale e, di ciascuno di essi, di Euro 80.000,00 per danno non patrimoniale. La corte territoriale aveva infatti osservato che ricorreva la prescrizione decennale, decorrente dal 31 maggio 2006 ed interrotta con la notifica della citazione nel 2012, spettando il risarcimento del danno, nel caso di responsabilità medica per erronea diagnosi concernente il feto, in favore non solo della madre, ma anche del padre. Inoltre, a partire dal 3 aprile 2006, data in cui era emerso il rallentamento della crescita del feto, si era verificata carenza assistenziale per l’omessa tempestiva ospedalizzazione della paziente ed anticipazione del parto, i quali, ove eseguiti, avrebbero “con probabilità vicina alla certezza”, evitato, o quanto meno ridotti, la progressione dei danni intrauterini fetali e l’entità delle lesioni neurologiche irreversibili da cui era affetto il minore e che pertanto, dato che gli esiti negativi potenzialmente discendenti dal fattore naturale avrebbero potuto essere neutralizzati o circoscritti dal corretto operato sanitario, era illogico ritenere che la situazione patologica della trombofilia materna costituisse elemento fortuito di diminuzione della rilevanza degli inadempimenti sanitari. Quindi non era “praticabile la riduzione proporzionale della responsabilità medica per la pregressa patologia della paziente (che rappresenterebbe concausa naturale e non umana), né la riduzione equitativa del quantum risarcibile da parte della struttura sanitaria (impedita dall’interdipendenza fra l’evoluzione della sofferenza fetale e l’accertata condotta colposa dei sanitari che seguirono la donna prima del parto)”.

Nel ricorrere per cassazione, la parte soccombente denunciava, tra gli altri motivi, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. rilevando che il giudice di appello, nonostante avesse concordato con le conclusioni della CTU secondo cui l’insulto iposso-ischemico subito dal bambino era da ricondurre a settimane prima della nascita ma era stato aggravato dalla mancata ospedalizzazione della paziente nella misura del 60%, non aveva delimitato in modo corrispondente il quantum debeatur, che, sempre secondo il Collegio distrettuale, non sarebbe consentito “dall’interdipendenza fra l’evoluzione della sofferenza fetale e l’accertata condotta colposa dei sanitari che seguirono la donna prima del parto”. Aggiungeva che, anche ove i sanitari non avessero tardato l’assistenza della gestante, il piccolo sarebbe comunque nato con lesioni neurologiche irreversibili, stante la patologia coagulativa-trombofilica di cui la mamma era portatrice.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 32657/2021, hanno effettivamente ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte, accogliendo il ricorso in quanto fondato.

La corte territoriale aveva ritenuto non praticabile la riduzione del quantum sulla base della premessa che la tempestiva ospedalizzazione della paziente ed anticipazione del parto, ove eseguiti, avrebbero “con probabilità vicina alla certezza”, evitato, o quanto meno ridotti, la progressione dei danni intrauterini fetali e l’entità delle lesioni neurologiche irreversibili da cui era affetto il minore, precisando più avanti che gli esiti negativi potenzialmente discendenti dal fattore naturale avrebbero potuto essere neutralizzati o circoscritti dal corretto operato sanitario. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, “la contraddittorietà della decisione, tale rendere incomprensibile la ratio decidendi, emerge qui”. Sul piano logico non possono essere assimilate la neutralizzazione e la riduzione degli esiti della patologia pregressa perché, essendo diverse le conseguenze giuridiche dei due presupposti di fatto evidenziati, si cade in un’inconciliabile contraddizione ove li si equipari (concludendo poi per l’irrilevanza della causa naturale ai fini della determinazione del danno risarcibile). Ove infatti l’intervento sanitario sarebbe stato in grado di neutralizzare la patologia pregressa non si sarebbe posto un problema di concausa di lesione ed è corretto concludere nel senso della irrilevanza della patologia pregressa ai fini della determinazione del danno risarcibile. Ove invece le conseguenze del fattore naturale sarebbero state soltanto ridotte dal tempestivo intervento sanitario, l’incidenza delle stesse al livello della causalità giuridica di cui all’art. 1223 cod. civ. non si sarebbe potuta negare, sulla base della giurisprudenza di di legittimità.

Sul punto, infatti – hanno sottolineato dal Palazzaccio – vale infatti il seguente principio di diritto: 1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata; 2) la concausa della lesioni è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale; 3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito; 4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi; 5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificità del caso concreto) irrilevanti ai fini della liquidazione; 6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione: a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro; b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale; c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo dal valore (b); 7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.

La corte territoriale aveva espresso un giudizio di fatto in termini sia di neutralizzazione che di riduzione delle conseguenze della patologia pregressa da parte dell’intervento sanitario ove svolto in modo diligente, collegando a tale accertamento gli effetti giuridici della neutralizzazione (irrilevanza ai fini della determinazione del danno risarcibile) e non quelli della riduzione. In tal modo si realizzava un’anomalia motivazionale, rilevante quale violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, sia sotto il profilo del giudizio di fatto (neutralizzazione e allo stesso tempo riduzione delle conseguenze della patologia pregressa), sia sotto il profilo del giudizio di diritto (opzione priva di motivazione in favore della fattispecie della neutralizzazione, anziché in favore di quella della riduzione).

La sentenza impugnata era dunque da ritenere priva di motivazione. Il giudizio di fatto deve avere un termine esclusivo (neutralizzazione o riduzione delle conseguenze della patologia pregressa) e deve collegarvi il conforme effetto giuridico.

La redazione giuridica

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