La Corte di Appello di Palermo ha sollevato, per sospetto contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione e con l’art. 117, primo comma, Cost.,  in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del c.c., aggiunto dall’art. 55 del D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, “nella parte in cui  (…) non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico”.

L’art. 337-ter c.c. dispone al suo primo comma, che “il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”  ed aggiunge al secondo comma, che, per realizzare tale finalità, “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.

Nel caso in esame una donna chiede di poter continuare a frequentare i figli della ex compagna con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, durata otto anni, nel corso della quale appunto l’ex compagna aveva avviato con il sostegno morale ed economico della ricorrente, un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita di due gemelli, accuditi e cresciuti da entrambe le donne.

Ebbene la Corte di Appello di Palermo, chiede alla Consulta un intervento addittivo nel corpus dell’art. 337-ter c.c. che non postula la parificazione dell’ex partner del genitore biologico alla figura del genitore nei cui confronti il minore ha il “diritto di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale”, ma auspica che il soggetto che, nell’ambito di una, poi interrotta, unione, anche omosessuale, con il genitore biologico del minore, abbia instaurato un legame affettivo con il minore medesimo, sia equiparato ai “parenti” ai fini della garanzia di conservazione di quel “significativo” rapporto.

Tale equiparazione, secondo la Corte palermitana, è allo stato, preclusa dal tenore dell’art. 337-ter c.c., che si riferisce univocamente ad uno specifico ed esclusivo contesto di relazioni parentali.

Da ciò discende il contrasto della su menzionata norma con l’art. 2 Cost., che garantisce le “formazioni sociali”, in esse comprese anche le famiglie di fatto, anche nel caso in cui siano composte da persone dello stesso sesso, in ragione del “vuoto di tutela” del minore nell’ambito delle stesse  e con gli artt. 2, 30 e 31, Cost., per il vulnus al principio di ragionevolezza ed al precetto dell’uguaglianza, e per la disparità di trattamento, che ne deriverebbe, tra i figli nati all’interno di una unione eterossessuale e quelli nati nell’ambito di una relazione omosessuale.

L’art. 337-ter c.c. sarebbe in contrasto, poi, anche con l’art. 117, primo comma,  Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, oltre che con altri obblighi internazionali in materia di riconoscimento del diritto dei genitori e dei figli, nonché di ulteriori soggetti uniti da vincoli familiari di fatto, a mantenere stabili relazioni anche in caso di crisi della coppia, anche omosessuale, avuto sempre riguardo al preminente interesse del minore.

Ebbene, con la sentenza n. 225 del 20 ottobre 2016  (Presidente Grossi – Relatore Morelli), peraltro attesa da tempo, la Corte Costituzionale ha affrontato il problema di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter c.c.., ritenendola non fondata  e osservando che, muovendo dalla corretta premessa che l’intervento del giudice a tutela del diritto del figlio minore a “conservare rapporti significativi” con persone diverse rispetto ai genitori, così come previsto dall’art. 337-ter c.c., abbia esclusivo riguardo a soggetti comunque legati al minore da un vincolo parentale, all’interno di un contesto propriamente familiare, il giudice a quo perviene direttamente alla conclusione che esista un “vuoto di tutela” quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano suoi parenti.

Di conseguenza il giudice a quo ritiene che a tanto possa rimediarsi solo attraverso la chiesta pronuncia addittiva della Consulta, che con riguardo alla particolare vicenda per cui è causa,  includa anche l’ex compagna della genitrice biologica nel novero dei soggetti le cui relazioni con il minore rientrano nel quadro di tutela apprestata dall’art. 337-ter c.c..

La Corte Costituzionale ha però osservato che il giudice a quo ha trascurato di considerare che l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore comunque pregiudizievole al figlio”, con riferimento alla quale l’art. 333 c.c. già consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti” nel caso concreto.

E tutto ciò su ricorso del pubblico ministero, che è a tanto legittimato ex art. 336 c.c., anche su sollecitazione dell’adulto non parente coinvolto nel rapporto in questione.

La Consulta osserva che nel medesimo senso, nella fase di primo grado del giudizio a quo, si era già orientato il Tribunale di Palermo che, nel disporre la frequentazione delle due minori con l’ex compagna della madre biologica, aveva ritenuto a tal fine necessaria la richiesta del pubblico ministero.

Secondo la Corte Costituzionale non sussiste il vuoto di tutela dell’interesse del minore presupposto dal giudice rimettente e, pertanto, ha rigettato  la questione di legittimità dell’art. 337-ter c.c. sollevata, non ritenendola fondata.

 Avv. Maria Teresa De Luca

(Foro di Taranto)

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