La morte di Alessandro Morricella, soggiunta lo scorso 12 giugno, ha riaperto il dibattito sulla sicurezza dei lavoratori dell’Ilva di Taranto.
Chi sono i colpevoli? L’altoforno che ha causato la morte del ragazzo perché era ancora in funzione? La questione della sicurezza degli altiforni non è certo nuova all’interno dell’Ilva. «Di lavori per il riammodernamento degli impianti per il risanamento ambientale se ne parlava anche nel luglio 2014, quando ci fu un guasto al monoblocco numero 3 della centrale elettrica 2 del siderurgico e la chiusura dell’altiforno 5. Quella di Alessandro Morricella è stata, dunque, una tragedia annunciata». Sono le parole del professor Fabio Matacchiera, presidente e rappresentante legale del Fondo Antidiossina di Taranto, sentito telefonicamente dalla redazione di Responsabile Civile. Il Fondo si occupa di denunciare, mappare e analizzare le attività e l’inquinamento prodotto dell’indotto tarantino.
«L’Ilva emette sostanze di ogni tipo, soprattutto, polveri e benzopirene, sostanze cancerogene, neurotossiche e mutagene. Taranto insieme alla “Terra dei Fuochi” detiene un triste primato: in queste terre si muore di più che nel resto delle altre regioni. Ci sono più ricoveri e più ammalati a causa dei tumori e la mortalità è aumentata di circa il 40%», ci dice Matacchiera, sempre in prima linea in difesa dei cittadini tarantini.
Il presidente del Fondo Antidiossina cita i numeri del terzo rapporto dello studio SENTIERI, lo Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento, il progetto finanziato dal Ministero della Salute e coordinato dall’ISS, l’Istituto Superiore di Sanità. La mission di SENTIERI è quella di studiare il rischio per la salute nei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN).
Per quanto riguarda Taranto, i risultati parlano di un aumento di casi di tumori della tiroide con una incidenza tumorale del +58% per gli uomini e +20% per le donne, mentre le percentuali per i ricoveri ospedalieri vanno dai + 45% per i primi al +32% per le seconde.
Dalle analisi condotte, poi, è emersa la serietà delle esposizioni all’amianto subite dai residenti nei SIN, gravità emersa dai dati relativi al mesotelioma. Un’enormità di casi di neoplasia e tumore maligno della pleura sono stati registrati nei siti di Biancavilla (CT) e Priolo (SR) ma anche nelle aree portuali di Trieste, Venezia, oltre che Taranto, naturalmente.