Riconosciuto il danno catastrofale per lucida agonia, comprensivo anche dell’aumento del 50% previsto per la personalizzazione, e il danno da perdita di chance (Tribunale di Frosinone, Sentenza n. 1001/2021 del 20/10/2021-RG n. 1902/2017)

I congiunti del paziente chiedono la condanna della Struttura al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti al decesso del familiare, verificatosi in data 27/05/2012 presso l’ospedale di Sora per l’asserito inadeguato trattamento sanitario ricevuto.

Il CTU ha concluso: “Nella condotta dei sanitari che ebbero in cura presso il Polo Ospedaliero di Sora il paziente dall’1/04/2012 al 27/05/2012 sono ravvisabili profili colposi prettamente di natura omissiva, consistenti essenzialmente nella mancata attuazione di strategie terapeutiche efficaci a risolvere il quadro presentato dal paziente. L’approccio diagnostico e terapeutico non è stato corretto ed adeguato rispetto alle contestuali necessità cliniche del paziente giacché è stato possibile evidenziare un atteggiamento estremamente attendistico laddove avrebbe potuto e dovuto essere effettuata tempestivamente un colangiopancreatografia retrograda endoscopica (CPRE) a scopo diagnostico/terapeutico, la quale avrebbe potuto portare alla rimozione dell’ostruzione delle vie biliari ed ad una restitutio ad pristinum. Il sopravvenuto decesso del paziente è da porsi in collegamento causale con le omissioni e i ritardi riscontrati…(..).. Non sono stati identificati profili colposi strettamente correlati alla diagnosi del processo morboso in atto, nonostante le carenze evidenziate nella tenuta della cartella clinica, nella frequenza dei controlli utili a monitorare l’andamento della malattia e nell’atteggiamento estremamente e ingiustificatamente attendistico nell’intervenire adeguatamente ; le metodiche impiegate ( in realtà la mancata adozione di metodiche diagnostico/ terapeutiche in grado di visualizzare le vie biliari e pancreatiche e di rimuovere eventuali ostruzioni), non sono state adeguate al livello di specialità dell’Ente Ospedaliero convenuto e comunque consigliate dalla migliore scienza medica in base alla diagnosi formulata”.

Ebbene, si discorre di una condotta colposa di natura omissiva che si è concretizzata sia nella tardività della prima diagnosi (sofferenza epatica, grave condizione di colestasi e pancreatite cronica con focolai di malattia acuta), sia nell’opportuna terapia chirurgica, la quale avrebbe determinato la rimozione dell’ostruzione delle vie biliari.

Come noto, l’art. 1218 c.c. solleva il creditore dall’onere di provare la colpa, come per la responsabilità aquiliana, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del medico-debitore e il danno di cui si chiede il risarcimento.

Il nesso di causa è stato dagli attori pienamente provato.

Venendo alla liquidazione dei danni, in prima battuta il Tribunale passa al vaglio il danno da perdita del rapporto parentale.

I congiunti hanno diritto a una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare, in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione o sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare da parte di chi agisce in giudizio.

Seguendo le indicazioni delle Tabelle milanesi:

1) Per la moglie viene riconosciuto l’importo di euro 280.000,00;

2) Per i figli, non conviventi, viene riconosciuta la somma di euro 180.000,00, ciascuno;

3) Per la sorella non convivente l’importo di euro 70.000,00;

4) Per le nipoti, non conviventi, viene riconosciuto l’importo di euro 45.00,00, ciascuna.

Gli attori chiedono anche la liquidazione del c.d. danno catastrofale, ovvero del danno morale terminale, consistente nella cosciente e lucida percezione della vittima dell’imminente morte e quindi nell’indescrivibile sensazione che la propria fine è alle porte.

Il Tribunale osserva che il paziente deceduto ha senza dubbio preso coscienza della propria situazione di salute e, soprattutto del peggioramento graduale e inesorabile delle proprie condizioni di salute, ciò in considerazione del lasso di tempo (57 giorni di ricovero), trascorso in una condizione di coscienza e lucidità dal giorno dell’ingresso in Pronto Soccorso, fino alla morte.

Per la liquidazione della posta risarcitoria invocata, lo spunto è sempre derivante dalle Tabelle milanesi, che prevedono diversi importi a seconda dei giorni trascorsi in ospedale, tenuto conto della componente biologica temporanea del paziente.

Il Tribunale liquida per danno catastrofale l’importo di euro 89.000,00, comprensivo anche dell’aumento del 50% previsto per la personalizzazione ( EUR 40.549,00, importo corrispondente a 57 giorni di ricovero più EUR 30,000,00, pari ai primi tre giorni di ricovero più il 50%).

Tale importo dovrà essere diviso tra tutti gli eredi in parti uguali.

Sulla perdita di chance di sopravvivenza, legata alla menomazione delle possibilità di sopravvivenza, o di guarigione del paziente, ovvero alla limitazione della qualità della vita, viene ribadita la necessità di valutare la sussistenza del nesso di causalità tra l’inadeguato trattamento sanitario e il danno lamentato.

Nella valutazione del nesso eziologico, la giurisprudenza si era uniformata al criterio della probabilità degli effetti della condotta lesiva e della idoneità di quest’ultima a produrli; successivamente, si è sostituito al principio della probabilità quello della certezza, così da esigere una prova rigorosa del nesso di causalità.

Ai fini di tale accertamento, il lavorìo giurisprudenziale ha sostituito il criterio della certezza degli effetti dannosi della condotta, con quello della probabilità, una probabilità considerevole, con una valutazione presuntiva e prognostica, fondata sul calcolo delle probabilità non trascurabili, non essendo possibili in termini generali, pur qualche eccezione, la prova assoluta in termini di certezza del pregiudizio.

Chi agisce in giudizio deve dimostrare l’esistenza di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile, anche secondo un calcolo di probabilità, ma allegando sempre specifiche circostanze di fatto.

In sostanza, il danno da perdita di chance, sia di natura patrimoniale, che non patrimoniale, richiede una prova specifica da parte del danneggiato, anche con riferimento al c.d. danno conseguenza.

Traslando tali principi al caso concreto, il paziente, di anni 78 al momento della morte, ha perduto la possibilità di sopravvivere più lungo rispetto a quanto effettivamente vissuto, con una possibilità di vita migliore, qualora il trattamento medico praticato fosse stato adeguato.

Pertanto, per la liquidazione del pregiudizio, non essendovi un sistema tabellare di riferimento, il Tribunale utilizza i parametri delle Tabelle milanesi adottate in materia di danno da perdita del congiunto, che prevedono importi che variano a seconda dell’intensità del legame familiare leso e contemplano, in applicazione del principio equitativo, una riduzione di almeno il 50% rispetto al valore monetario base concernente il danno da morte del congiunto, da riconoscere al familiare stretto (coniuge o figli conviventi).

Applicando tale riduzione del 50%, si giunge all’importo di euro 84.125,00, che andrà diviso tra gli eredi in parti uguali.

Accolto, infine, anche il ristoro del danno patrimoniale, con riferimento alla pensione di cui beneficiava il paziente deceduto, del valore di circa euro 1.800,00.

Avv. Emanuela Foligno

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