Una sentenza della Cassazione ha fornito chiarimenti importanti circa la incapacità economica del padre che non versa il mantenimento ai propri figli e ai rischi che corre.

La Corte di Cassazione, VI sezione penale, nella sentenza n. 13849/2018 ha fornito dei chiarimenti fondamentali sulla incapacità economica del padre che non mantiene i figli.

Secondo i giudici, infatti, non salva il padre dalla condanna ex art. 570 c.p., l’affermare di essersi fatto carico delle spese mediche e sportive e di quelle relative all’acquisto di alimenti e vestiario per la figlia. Così come non lo salva dalla condanna l’aver affrontato un periodo di crisi in ambito lavorativo.

Nel caso di specie, un padre nonostante avesse assunto consensualmente l’obbligo di mantenimento nei riguardi della figlio, si era dimostrato da subito inadempiente.

L’uomo aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza alla bambina.

La sua condotta sarebbe potuta essere considerata penalmente irrilevante solo nel momento in cui egli avesse dimostrato la sua assoluta incapacità economica.

È quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in oggetto. Con tale pronuncia i giudici hanno respinto il ricorso dell’uomo, condannato per violazione degli obblighi di assistenza familiare per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore.

Tuttavia, per il ricorrente, la sentenza non aveva tenuto conto della parziale corresponsione dell’assegno di mantenimento e del carico delle “spese mediche e sportive”.

Così come aveva ignorato le spese relative “all’acquisto di alimenti e vestiario” che lo stesso ricorrente aveva sopportato.

Per la difesa, tali elementi avrebbero dovuto portare il giudice a concludere per l’avvenuto soddisfacimento delle esigenze primarie della figlia. E questo anche considerando “i problemi di lavoro a causa della crisi del settore degli autotrasportatori” subiti dall’uomo nel periodo in contestazione.

Tuttavia, la Cassazione conferma l’impianto dei giudici di merito.

Le loro pronunce le cui pronunce, di “doppia conforme”, s’integrano fra loro costituendo un unico e unitario corpo motivazionale.

In questo caso, infatti, un vizio di motivazione ricorre solo nel momento in cui “il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice”, ovvero “quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”.

Nel caso in oggetto, la Corte territoriale ha debitamente evidenziato come “si era creata una situazione di necessità per la parte offesa, la quale, se pure guadagnava qualcosa con il lavoro di domestica, aveva dovuto ricorrere all’aiuto dei familiari per poter continuare a provvedere alle esigenze fondamentali della vita della minore”. E questo al netto dei primi due mesi in cui l’imputato aveva effettuato limitati versamenti (somme comprese tra 50 e 100 Euro a fronte di un dovuto di 300).

Inoltre, nel concetto di mezzi di sussistenza si fanno rientrare non solo quelli “per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana” (cfr., sent. n. 12400/2017).

La Cassazione ha poi evidenziato che il generico riferimento alla “crisi del settore degli autotrasportatori” non può avere alcun effetto scriminante.

Soprattutto alla luce della circostanza del carattere consensuale dell’obbligo economico assunto dal padre e del pressoché immediato inadempimento da parte dello stesso.

Senza contare che del consolidato principio giurisprudenziale circa l’assolutezza dell’ incapacità economica dell’obbligato, perché la sua condotta sia penalmente irrilevante.

È stato quindi inutile per il ricorrente evidenziare di aver contratto un mutuo per affrontare il debito accumulato, una circostanza che avrebbe fatto venir meno l’elemento soggettivo del reato:.

Per gli Ermellini, tale condotta, era infatti giunta in un momento successivo. Vale a dire dopo che la madre della minore aveva avviato un giudizio civile per ottenere forzatamente l’adempimento del debito contratto dall’uomo.

Alla luce di tali circostanze, il ricorso dell’uomo è stato rigettato.

 

 

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