Incongrua somministrazione di un farmaco a base di olanzapina non autorizzato e non idoneo per la patologia della paziente (Cassazione Civile, sez. III,  dep. 14/03/2022, n.8117).

Incongrua somministrazione del farmaco viene dedotta dalla paziente che adisce dapprima il Tribunale di Pesaro e, successivamente, la Corte di Appello di Ancona, vedendosi respingere la domanda da entrambi i gradi di giudizio.

La paziente impugna in Cassazione la decisione della Corte d’Appello lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 32,13 Cost., art. 1176 c.c., artt. 33,35,13 del codice deontologico medico, poiché la Corte avrebbe errato mancando di considerare che:

-non era stata informata compiutamente e specificatamente della diagnosi né, soprattutto degli effetti collaterali statisticamente propri del farmaco a base di olanzapina prescritto, essendogli stata prospettata solo una possibile depressione curabile che non corrispondeva alla molteplice serie di complicanze connesse a quell’utilizzo e che la stessa aveva subito come risultante dalla stessa consulenza officiosa effettuata nelle fasi di merito;

-la scheda tecnica del farmaco riportava l’indicazione di tali effetti collaterali, con la specifica per cui, in caso di tali insorgenze, la somministrazione avrebbe dovuto essere sospesa, come non accadde essendo, invece, stata disposta solo una riduzione del dosaggio;

-non era stato acquisito il consenso esplicito e anzi scritto necessario, e non presunto, per mera deferenza dinnanzi al qualificato professionista ovvero per l’oggettiva assenza di risultati effettivi riconducibili alle terapie praticate sino ad allora che, al contrario, avrebbero dovuto indurre a un’ancor più chiara informazione della paziente.

Con il secondo lamenta che la Corte di Appello avrebbe errato mancando di considerare che la incongrua somministrazione del farmaco a base di olanzapina era autorizzata in Italia per il trattamento della schizofrenia, ma non per il disturbo bipolare diagnosticato.

Con il terzo prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 115 c.p.c., poiché la Corte di Appello avrebbe errato omettendo di considerare che gli effetti che la deducente aveva patito all’esito della incongrua somministrazione del farmaco non erano consistiti solo nella depressione, come affermato nella sentenza gravata indicando che questa possibilità era stata prospettata alla paziente medesima, bensì altri e più complessi, corrispondenti a quelli allegati nella originaria citazione, a quelli riportati nella scheda tecnica del medicinale e infine accertati anche dal perito giudiziale.;

La Suprema Corte ritiene il ricorso inammissibile per carente ricostruzione dei fatti processuali.

La ricorrente, nel pretendere il risarcimento, lamenta l’incongrua somministrazione di un farmaco a base di olanzapina, effettuata diagnosticando un disturbo bipolare, ovvero paranoide, laddove il CTU aveva escluso tale patologia riscontrando più semplici disturbi ansiosi della personalità.

Ancora, la ricorrente lamenta l’incongrua somministrazione di un farmaco non autorizzato per il trattamento in questione in Italia, senza che fosse stata provata l’impossibilità di seguire terapie autorizzate e senza consenso specifico; e, al contempo, la mancata interruzione, da parte dei Sanitari, della terapia alla comparsa di alcuni effetti collaterali.

In buona sostanza, osserva la Suprema Corte, non si chiarisce :

– se la domanda, come svolta e coltivata, fosse stata di risarcimento dei danni subiti per la incongrua somministrazione del farmaco (impropriamente prescritto) e come questi sarebbero stati provati, nella prospettiva della deducente, ovvero, assunto il nesso eziologico, come la stessa avrebbe cercato di provarli, eccettuato quanto dalla stessa parte riferito al CTU (che costituisce, pertanto, mera allegazione);

-se, viceversa, la stessa domanda fosse stata di lesione della libertà di scelta per mancato consenso informato, come si lamenta col primo motivo, ovvero, anche o alternativamente, di danni perché la medesima deducente, qualora nella sua prospettiva informata debitamente, non avrebbe assunto quel farmaco.

In questi termini, le censure non possono essere vagliate perché il ricorso risulta aspecifico.

Viene sottolineato che altro, logicamente, è il fatto storico che la parte invoca in termini costitutivi di una propria pretesa, altro le domande processuali come effettivamente svolte e sostenute nelle fasi di merito, diverse, cioè, da quella esaminata, che è di legittimità nonché a critica vincolata, ovvero necessariamente iscritta – salve le rilevabilità officiose  – nel perimetro segnato dal pregresso svolgimento della sequenza procedimentale.

La Corte di legittimità, leggendo il ricorso nella sua globalità, deve poter comprendere l’oggetto della controversia, così come il contenuto delle critiche che dovrebbero giustificare la cassazione della decisione impugnata.

Conclusivamente, il ricorso viene dichiarato inammissibile con condanna alla rifusione delle spese processuali.

Avv. Emanuela Foligno

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