Ai fini del riconoscimento dell’indennità di cassa al lavoratore, ciò che rileva è l’autonomia nell’espletamento delle mansioni di cassiere e la continuatività e non occasionalità di queste ultime

La vicenda

La Corte d’appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato da una società ad una propria dipendente, con le conseguenze risarcitorie nell’ambito della tutela obbligatoria, e aveva altresì condannato la società alla corresponsione, in favore della predetta, dell’importo complessivo di Euro 3.037,29 a titolo di indennità di cassa, oltre accessori di legge.

Dall’istruttoria era emerso che la lavoratrice, addetta alla reception, aveva accesso alla cassaforte ove riponeva gli incassi, gestiva un piccolo fondo cassa per le spese di ordinaria amministrazione ed era addetta alla effettuazione della “quadratura giornaliera, settimanale e mensile” degli importi presenti in cassa.

Ebbene, l’art. 148 c.c.n.l. applicato prevedeva che, ove al dipendente addetto con continuità ad operazioni di cassa facesse capo la piena e completa responsabilità della gestione di cassa, con obbligo di accertarsi delle eventuali differenze, competesse un’indennità di cassa e di maneggio denaro nella misura del 5% della paga base nazionale prevista dal medesimo c.c.n. l.

Per questi motivi la corte di merito aveva riconosciuto come spettante alla receptionist tale indennità contrattuale.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società datrice di lavoro.

La decisione della corte d’appello, a sua detta, era fondata sull’erroneo presupposto di una responsabilità del tutto generica della lavoratrice, che tuttavia non trovava alcun fondamento nella realtà fattuale e normativa.

Ed invero, quest’ultima non aveva alcun obbligo di accollarsi le eventuali differenze economiche in caso di ammanchi ed errori di cassa; condizione espressamente prevista dal citato art. 148 c.c.n.l. ai fini del riconoscimento della predetta indennità.

Ed inoltre, trattandosi di istituto di derivazione esclusivamente contrattuale, l’insorgenza del relativo diritto in capo al lavoratore, avrebbe dovuto essere valutato sulla base dell’interpretazione della specifica disciplina del contratto collettivo applicabile al rapporto, senza riferimento a pretese nozioni di carattere generale: “ciò che rileva è che l’attività svolta a contatto col denaro abbia carattere se non di esclusività quanto meno di continuatività e non occasionalità, e che comporti l’esposizione del lavoratore ad una possibile responsabilità, anche di carattere finanziario” (Cass. 7353/2004).

La giurisprudenza

Ebbene, tale principio richiamato dal ricorrente, è stato meglio specificato in due recenti sentenze della Cassazione (Cass. 25742 del 14.12.2016 e Cass. n. 2212 4.2.2016) ove è stato affermato che “ai fini del diritto all’indennità di maneggio denaro, la responsabilità per errore, anche finanziaria, è implicita nelle attività di cui l’incasso costituisce la prestazione normale o prevalente, derivando la stessa dall’art. 2104 c.c. che obbliga il dipendente alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta”.

In sostanza, “l’orientamento espresso valorizza le mansioni specifiche del cassiere rispetto alle quali il maneggio del denaro, quale aspetto prevalente dell’attività svolta, di cui l’incasso costituisce il profilo principale, induce a ritenere immanente alla attività stessa una responsabilità che deriva direttamente dalle norme codicistiche che obbligano il dipendente alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (art. 2104 c.c.), aspetto neppure specificamente contestato nel motivo di ricorso”.

Ebbene, i giudici della Sezione Lavoro della Cassazione (ordinanza n. 22294/2019) hanno inteso ribadire siffatto principio di diritto; il ricorso è stato perciò, respinto e confermata in via decisiva la decisione impugnata.  

La redazione giuridica

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