Indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro durante la pausa caffé

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indennizzabilità dell'infortunio sul lavoro

Accolto il ricorso dell’INAIL contro l’indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro occorso a una lavoratrice mentre rientrava in ufficio dalla pausa caffé

L’indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro non consegue alla mera circostanza che lo stesso si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale, la sussistenza del nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell’evento quanto l’esposizione a rischio dell’assicurato; il rischio può esser quanto meno “improprio” ma giammai “elettivo” (scaturito cioè da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze, personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa, pur latamente intesa, con ciò stesso ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento); nella nozione di “occasione di lavoro” così delineata, si esprime il requisito della professionalità del rischio, corrispondente alla specificità della tutela. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 32161/2021 pronunciandosi sul ricorso dell’Inail contro l’accoglimento della domanda proposta da una lavoratrice volta ad ottenere l’indennità di malattia per inabilità assoluta temporanea oltre all’indennizzo corrispondente ad un danno permanente del 10% in relazione ad un infortunio occorsole lungo il tragitto che stava percorrendo a piedi, in rientro da una breve pausa caffè.

il Tribunale, oltre a riconoscere che il rischio assunto dalla lavoratrice non poteva considerarsi generico, permanendo il nesso eziologico con l’attività lavorativa, posto che la pausa era stata autorizzata dal datore di lavoro ed era assente il servizio bar all’interno dell’ufficio, aveva valutato la complessiva percentuale di invalidità considerando anche una precedente invalidità lavorativa. La Corte d’appello aveva confermato le motivazioni del primo giudice, ritenendo che l’evento fosse connesso ed accessorio all’attività di lavoro e non ricorresse una ipotesi di rischio elettivo.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’INAIL deduceva che le circostanze caratterizzanti l’infortunio non sarebbero state tali da consentirne la sussunzione nella nozione legale di occasione di lavoro delineata dall’art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965; la parte ricorrente evidenziava, in particolare, che la lavoratrice osservava un orario di lavoro continuato dalle ore 9,00 alle 15,00 e che aveva timbrato il cartellino in uscita il giorno 21 luglio 2009 per effettuare, insieme a due colleghe, la cosiddetta “pausa caffè” di metà mattina presso un vicino bar e che in tale frangente era caduta mentre percorreva un breve tragitto a piedi procurandosi un trauma al polso destro; si era trattato, dunque, di un rischio assunto volontariamente dalla lavoratrice non potendo ravvisarsi nell’esigenza, pur apprezzabile, di prendere un caffè i caratteri del necessario bisogno fisiologico che avrebbero consentito di mantenere la stretta connessione con l’attività lavorativa.

Gli Ermellini hanno ritenuto di aderire alla doglianza proposta.

“La questione di diritto che il motivo propone – hanno specificato dal Palazzaccio – è quella della corretta interpretazione dell’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, secondo il quale l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro; la giurisprudenza di questa Corte di legittimità si è andata orientando (vd. Cass. n. 6088 del 1995) nel senso di ritenere che la causa violenta in occasione di lavoro, richiesta dall’art. 2 del t.u. approvato con d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 per la indennizzabilità dell’infortunio, è quella che dà occasione, appunto, ad alterazioni lesive legate alla prestazione lavorativa da nesso non meramente topografico-cronologico, ma di derivazione eziologica, quanto meno in via mediata e indiretta, non essendo l’assicurazione infortuni, secondo l’intento del legislatore del 1965, finalizzata a coprire i rischi generici, cui il lavoratore medesimo soggiace al pari di tutti gli altri cittadini, a prescindere cioè dall’esplicazione dell’attività lavorativa (a meno che non si tratti di rischi “aggravati” da peculiari circostanze, in presenza delle quali possa dirsi che è ancora una volta il lavoro ad offrire occasione per l’incontro della causa violenta con l’organismo dell’infortunato), né ad apprestare una speciale tutela in favore del lavoratore per il solo fatto che al medesimo sia occorso, in attualità di lavoro, un qualsiasi evento che in qualche modo ne abbia leso l’integrità fisica o mentale”.

Quando l’infortunio si verifica al di fuori, dal punto di vista spazio-temporale, della materiale attività di lavoro e delle vere e proprie prestazioni lavorative (si verifica, cioè, anteriormente o successivamente a queste, o durante una “pausa”), la ravvisabilità della “occasione di lavoro” è rigorosamente condizionata alla esistenza di circostanze che non ne facciano venir meno la riconducibilità eziologica al lavoro e viceversa la facciano rientrare nell’ambito dell’attività lavorativa o di tutto ciò che ad essa è connesso o accessorio in virtù di un collegamento non del tutto marginale.

Sulla scorta di tale principio era da escludere la indennizzabilità dell’infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell’ufficio ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, posto che la lavoratrice, allontanandosi dall’ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si era volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente.

La redazione giuridica

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