Le somme eventualmente versate dall’Inail a titolo di indennizzo ex art. 13 del dlgs 38 del 2000 non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato.
A fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all’espletamento dell’attività lavorativa (nella specie, per demansionamento), il giudice adito, una volta accertato l’inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all’evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell’applicabilità dell’art. 10 del decreto citato, ossia all’individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd. “danni complementari”), da risarcire secondo le comuni regole della r.g. n. 19989/2017 responsabilità civile; ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell’eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall’Inail, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo, ed anche se l’Istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo stesso.
E’ il principio ribadito nell’ordinanza n. 24401/2021 con la quale la Suprema Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del titolare di un’impresa che era stato condannato al pagamento della somma di € 24.784,77 a titolo di danno differenziale conseguente all’infortunio sul lavoro subito da un dipendente in luogo della somma di € 8.856,00 liquidata dal Tribunale.
Gli Ermellini, uniformandosi alla giurisprudenza in materia, hanno respinto l’eccezione avanzata dal ricorrente, secondo il quale, con riferimento all’inabilità permanente, non sarebbe stata dimostrata l’esistenza di patimenti che avrebbero giustificato il riconoscimento del danno differenziale nella misura del 40%, come ritenuto immotivatamente dalla Corte di Appello.
La Cassazione ha inoltre sottolineato, in relazione alla liquidazione del danno differenziale in relazione all’inabilità temporanea conseguente all’infortunio – che l’indennizzo ex art. 13 del dlgs 38 del 2000 erogato dall’Inail non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l’art. 66, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all’inabilità permanente.
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