Intervento di chirurgia estetica non riuscito, serve prova del nesso causale

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Il commento riguarda un intervento di chirurgia estetica non riuscito e che non consegue i risultati migliorativi desiderati dalla paziente ed anzi provoca accumuli di tessuto sulle braccia: i Giudici di merito rigettano la domanda per mancanza di prova. Anche la Cassazione respinge il ricorso della danneggiata (Cassazione civile, sez. III, 01/07/2024, n.18054).

La vicenda clinica

La paziente nel 2003 si sottoponeva a un intervento di chirurgia estetica presso la Casa di Cura M. Questo intervento consisteva nell‘aspirazione di tessuto adiposo dalla zona antero-mediale degli arti superiori. L’intervento non dava il risultato di miglioramento estetico previsto. Anzi entrambe le braccia presentavano alla rimozione dei bendaggi, gonfiori e punti di tumefazioni diffusi, tanto che la stessa dottoressa consigliava un nuovo, risolutivo, intervento che veniva eseguito presso la diversa Casa di Cura S.

Alla rimozione dei bendaggi e dei punti, la paziente constatava in entrambe le braccia la presenza di voluminosi accumuli adiposi distribuiti disarmonicamente.

La donna cita a giudizio la Casa di Cura M. e la dottoressa, nonché la Casa di Cura S., onde ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’intervento di chirurgia estetica non riuscito che peggiorava l’aspetto degli arti superiori.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale rigettava integralmente la domanda, ritenendo che la donna non avesse offerto alcuna prova del danno e neppure del nesso causale tra quanto lamentato e le prestazioni professionali svolte dalla dottoressa in entrambi gli interventi in maniera asseritamente inidonea ad ottenere il miglioramento estetico sperato, con risultato al contrario controproducente.

Osservava, in particolare il Giudice, che dalla CTU espletata risultava accertato lo stato del corpo dell’attrice alla data dei rilievi mentre mancava la documentazione inerente lo stato precedente agli interventi, come ad es. fotografie precedenti gli interventi stessi, idonee a documentare l’iniziale stato delle parti anatomiche dell’attrice interessate dagli interventi. In questo modo non era possibile effettuare un confronto per individuare eventuali condotte mediche erronee e quindi le responsabilità del medico, o della struttura all’interno della quale gli interventi erano stati eseguiti.

Osservava anche che anche all’interno dei giudizi di responsabilità per danno estetico è necessaria la prova del nesso causale. In particolare, poiché in questo caso gli interventi erano stati plurimi e svolti presso diverse strutture, doveva essere fornita la prova del danno e la prova della responsabilità attribuibile ad ogni intervento ed anche la prova del quantum.

Successivamente, anche la Corte di Appello di Ancona rigettava integralmente l’impugnazione confermando la linea decisionale e motivazionale di primo grado. Anche la Cassazione ritiene le censure formulate dalla donna complessivamente inammissibili.

Le motivazioni della Cassazione

Gli Ermellini, primariamente, danno atto dello scarso sviluppo argomentativo delle censure, che consistono principalmente nella riproduzione della prova testimoniale assunta.

Ad ogni modo, secondo la tesi della donna, la dottoressa avrebbe assunto nei suoi confronti una obbligazione di risultato, con la quale si impegnava al miglioramento della situazione estetica delle braccia

E tuttavia le argomentazioni in diritto sono meramente abbozzate e non sviluppate: quello che emerge è una censura verso l’accertamento in fatto effettuato dal Tribunale e pienamente confermato dalla Corte d’appello che, preso atto della mancanza di prove documentali, in relazione al contenuto del contratto, all’avvenuto pagamento della prestazione, alla documentazione sanitaria, nonché della mancata produzione di documentazione fotografica sia ante che post operam ha escluso di poter accertare che il medico si fosse impegnato alla realizzazione del risultato estetico sperato, rimanendo incerta anche la stessa consistenza dei due interventi, e pertanto ha escluso di poter ritenere provata l’esistenza di un nesso causale tra gli inestetismi sussistenti sulle braccia della ricorrente e gli interventi di chirurgia estetica eseguiti.

Analogamente inammissibile è il motivo con il quale si censura ugualmente sul piano fattuale, richiamando alcune dichiarazioni della convenuta che avrebbero dovuto essere ritenute rilevanti in tal senso, che la Corte d’Appello non abbia ritenuto provata la domanda neppure facendo riferimento alle presunzioni.

Questa censura si fonda sull’affermazione, che non è stata confermata dagli accertamenti svolti dal Giudice di merito, che la dott.ssa avesse assunto nei confronti della paziente una obbligazione di risultato, e sulla base di questa premessa sostiene che la Corte d’Appello abbia operato una inversione degli oneri probatori.

Doppia conforme

Il terzo motivo è parimenti inammissibile, perché censura formalmente la totale assenza di motivazione della sentenza di Appello, ma non illustra in effetti la impossibilità di comprendere e percepire la ratio decidendi della decisione, bensì sottolinea il contrasto tra motivazione e risultanze processuali, attinente al profilo di eventuale contraddittorietà della motivazione non più censurabile in questa sede, tanto meno a fronte di una doppia conforme.

La S.C. ricorda che nell’ipotesi di “doppia conforme”, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.

Si discorre di “doppia conforme” non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo Giudice.

Nel caso di specie, le due sentenze sviluppano una omogenea linea argomentativa.

Conclusivamente, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Le osservazione dell’avvocato Foligno

Come detto, i giudizi di merito hanno avuto esito infausto per “inadeguato” allestimento delle produzioni documentali e insufficienza delle allegazioni. Ciò è del tutto corretto.

È uno dei fondamenti del diritto processuale civile il principio secondo cui “chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

Ebbene, se si agisce in giudizio nei confronti di Medico e Struttura/Casa di Cura è assolutamente indispensabile depositare in giudizio la documentazione sanitaria (cartelle cliniche ecc). Il fatto che la convenuta (struttura o medico) costituendosi, non neghi la prestazione sanitaria, non risana la mancanza della prova del fatto storico.

Quanto sopra è del tutto basico ed elementare ed in questo la difesa della paziente ha commesso un errore platealmente clamoroso.

Per quanto concerne il particolare caso degli interventi estetici, soprattutto quelli non demolitivi, è senz’altro necessario dimostrare, e quindi provare, che l’intervento di chirurgia estetica non riuscito non ha migliorato la situazione estetica, o l’ha addirittura peggiorata. La dimostrazione può essere fornita solo attraverso documentazione fotografica.

Avv. Emanuela Foligno

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