Intervento al collo dell’utero e danno da perdita di chance di procreare

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La vicenda sanitaria vede coinvolta la Casa di Cura Madonna delle Grazie ritenuta responsabile da entrambi i Giudici di merito della lacerazione dell’utero patita dalla paziente. I giudizi di merito, però, non riconoscono il danno da perdita di chance di procreare e la Cassazione rinvia (Corte di Cassazione, III civile, 25 novembre 2024, n. 30279).

La vicenda

La paziente, per displasia cervicale severa, si sottopone a un intervento di conizzazione del collo dell’utero che ne causava la lacerazione della parete posteriore.

Il Tribunale accoglie parzialmente la domanda liquidando 52.932,41 euro e rigettando la chiamata in garanzia della Casa di Cura. Avverso detta sentenza proposero appello la paziente e appello incidentale la struttura sanitaria. In corso di causa la paziente deposita comparsa con domanda risarcitoria in relazione alle sopravvenute interruzioni di gravidanza cagionate dalla patologia insorta. La Corte d’appello di Roma accoglie l’appello principale e l’appello incidentale, condannando Unipolsai a tenere indenne la Casa di Cura di quanto corrisposto nei limiti di 2.932,41 euro oltre accessori ed al pagamento delle spese del doppio grado.

In relazione al motivo di appello per il mancato riconoscimento di personalizzazione, i Giudici di secondo grado osservano che la prova orale della dispaurenia era assolutamente generica. Mentre, quanto al danno da perdita di chance di procreare naturalmente e di portare a termine la gravidanza, il CTU aveva chiarito che “la ridotta capacità contenitiva dell’utero in caso di gravidanza non poteva essere ascritta direttamente all’intervento in sé stesso, necessario alla luce della patologia altamente evolutiva da cui era affetta la paziente, né aveva censurato la scelta dell’operatore sanitario di effettuare un intervento in profondità, derivandone un utero quasi privo di cervice, con la probabile minore tenuta in caso di feto in crescita”, conclusioni non specificatamente contestate sotto il profilo medico-scientifico con l’appello.

I giudici aggiungono che, accolto l’appello incidentale avente ad oggetto il rigetto della domanda di manleva, doveva essere accolto il motivo di appello principale avente ad oggetto la condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali in favore della compagnia assicuratrice (la quale, invece, andava condannata alla rifusione delle spese del doppio grado in favore della struttura sanitaria).

L’intervento della Cassazione

La causa finisce in Cassazione dove la donna ricorre in relazione alla affermazione del Tribunale “l’intervento di conizzazione dell’utero, come peraltro correttamente rilevato dal perito d’ufficio, costituisce un intervento di routine, che non richiede la soluzione di particolari difficoltà tecniche ed operative. La scelta chirurgica è stata ad avviso del CTU corretta, stante la lesione precancerosa dell’utero, dalla quale risultava affetta l’odierna attrice”.
L’intervento di conizzazione, tuttavia, non è stato correttamente eseguito, in considerazione del fatto che, avuto riguardo al decorso post operatorio caratterizzato da emorragie pressoché continue, è del tutto ragionevole ritenere che l’intervento chirurgico, scelta astrattamente appropriata, sia stato condotto con negligenza ed imperizia, per essere stata la conizzazione condotta in profondità e aver guadagnato la parete posteriore dell’utero lacerandola.
Alla cattiva esecuzione dell’intervento chirurgico si aggiunge, inoltre, la evidente e scellerata sottovalutazione delle copiose ed incessanti perdite ematiche subite dall’attrice subito dopo l’intervento del 12 ottobre 2009, emorragie la causa delle quali non risulta rinvenuta da alcun esame o accertamento diagnostico, quale risonanza magnetica o TAC addominale, che era preciso dovere della Clinica prescrivere (esami questi ultimi invece posti in essere in altri nosocomi).
Sussiste dunque la colpa della Clinica per aver con negligenza ed imperizia eseguito un intervento, che non presentava particolari difficoltà tecniche e può considerarsi di routine, negligenza che ha poi portato alla perforazione dell’utero, e per aver altresì sottovalutato, se non addirittura totalmente ignorato, le frequenti emorragie subite dalla paziente successivamente all’intervento con conseguente mancato accertamento diagnostico delle cause delle medesime”.

Il danno da perdita di chance di procreare

La contestazione è fondata perché il Giudice di appello, in mancanza di appello incidentale, non avrebbe mai potuto riformare la decisione, essendosi formato il giudicato interno sulla violazione della diligenza professionale, commessa “per essere stata la conizzazione condotta in profondità e aver guadagnato la parete posteriore dell’utero lacerandola”.

Tuttavia, la Corte di Roma, allo scopo di disattendere l’istanza avente ad oggetto il danno da perdita di chance di procreare naturalmente e di portare a termine la gravidanza, ha affermato che il CTU non aveva censurato la scelta dell’operatore sanitario di effettuare un intervento in profondità, derivandone un utero quasi privo di cervice, con la probabile minore tenuta in caso di feto in crescita, conclusioni, ha aggiunto il giudice del merito, non specificatamente contestate sotto il profilo medico-scientifico con l’appello.

Con tale ratio decidendi, alla base del mancato accoglimento della domanda relativa al menzionato danno da perdita di chance di procreare, la Corte d’appello ha violato il giudicato di accertamento della negligenza professionale consistita nell’esecuzione della conizzazione in profondità, guadagnando la parete posteriore dell’utero e lacerandola.

L’accoglimento di questa censura determina l’assorbimento delle altre. Il giudizio di fatto del Giudice del merito si è svolto sulle basi di una statuizione in violazione dell’accertamento di negligenza professionale per conizzazione eseguita in profondità e su cui vi è giudicato. Deve pertanto essere svolta dalla corte territoriale una nuova valutazione del nesso eziologico, muovendo dall’inadempimento alla diligenza professionale su cui vi è giudicato, e valutandone la rilevanza eziologica rispetto all’evento dannoso delle interruzioni di gravidanza.

Avv. Emanuela Foligno

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