L’infortunio avveniva il 6 giugno 2017 all’interno di un’azienda, dove si adoperavano solventi chimici. In particolare, la vittima era intenta all’interno di un’officina a tagliare, con una mola angolare, un profilato metallico.
Lo sfregamento della mola sul metallo ha provocato alcune scintille che hanno colpito un contenitore di plastica contenente solvente chimico posto su di uno scaffale immediatamente sopra il tavolo di lavoro, sicché il contenitore si è fuso ed ha preso fuoco. A questo punto l’operaio, al fine di evitare che le fiamme si propagassero agli altri solventi collocati nelle vicinanze, ha afferrato il contenitore in fiamme e ha tentato di portarlo all’esterno del magazzino ma è stato investito dal solvente chimico che colava dal fusto ed è rimasto avvolto dalle fiamme. Prontamente soccorso dai colleghi e poi portato all’Ospedale, ha riportato lesioni al 44% della superficie corporea, comportanti più di quaranta giorni di malattia.
La mancata formazione in materia di prevenzione incendi
Il titolare è stato ritenuto colpevole per non avere evitato che le lavorazioni pericolose (agenti chimici infiammabili) avvenissero in luoghi separati rispetto a quelle ordinarie e per non avere adeguatamente formato ed informato i lavoratori in materia di prevenzione incendi sul luogo di lavoro.
La Corte di appello di Venezia (sent. 29 gennaio 2024), in parziale riforma della sentenza, appellata dall’Imputato, con cui il Tribunale di Padova lo aveva ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, ha revocato la sospensione condizionale, con conferma nel resto.
Il ricorso in Cassazione
Il soccombente ricorre in Cassazione lamentando la sussistenza del nesso di causalità, richiamando il principio della causalità della colpa, in quanto – secondo la sua tesi – non sarebbe sufficiente accertare la violazione di una regola cautelare in materia di prevenzione degli incendi, atteso che tutti i lavoratori erano stati informati dei rischi e dei pericoli delle sostanze che maneggiava e delle modalità con le quali i rischi dovevano essere gestiti, pur in assenza di uno specifico corso formativo.
Viene sottolineato che tutti i dipendenti erano in concreto adeguatamente informati, pur non avendo seguito un apposito corso, circa il rischio di incendio in caso di gestione poco oculata dei solventi, soggetti, compresi i lavoratori.
La Suprema Corte rigetta le censure (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 31 gennaio 2025, n. 4165).
Innanzitutto, quanto lamentato dall’imputato non si confronta con il contenuto della decisione dei Giudici di appello che hanno concordemente accertato (come in primo grado) non avere il datore di lavoro adeguatamente formato ed informato i lavoratori circa il rischio di incendi, secondo quanto unanimemente riferito dai dipendenti.
Esclusa l’abnormità dell’agire del dipendente
In conseguenza, l’eventuale imprudenza del dipendente rimasto vittima, essendo stata esclusa – con motivazione congrua e logica – l’abnormità del suo agire, non esclude il nesso di causalità tra condotta ed evento, né la responsabilità del datore di lavoro, secondo il costante principio di diritto secondo il quale “Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’Infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l’adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore”.
In conclusione il ricorso viene dichiarato inammissibile, con condanna alle spese.
Avv. Emanuela Foligno