Irregolarità formale del titolo esecutivo idoneo a intimare il pagamento notificato dal lavoratore alla società datrice di lavoro (Tribunale di Teramo, sez. Lavoro, Sentenza n. 433/2021 del 30/09/2021 RG n. 2012/2019)

Con atto di opposizione a precetto ex artt.615, comma 1, 617, comma 1, e 618 bis cpc, la società datrice di lavoro ha contestato l’intimazione di pagamento notificatale dal lavoratore sulla base della sentenza n.157/2019, emessa dal Tribunale di Teramo, in funzione di giudice del lavoro, il 05.03.2019, recante condanna della società al risarcimento di danni per infortunio sul lavoro.

A fondamento dell’opposizione ha dedotto quale primo motivo l’irregolarità formale del precetto, per “omessa notificazione in forma integrale della sentenza pubblicata – insussistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata sulla base del solo dispositivo – omessa notifica del titolo esecutivo in forma esecutiva – violazione dell’art.479 cod. proc. civ.”, e, quale secondo motivo, l’inidoneità del dispositivo della sentenza a valere quale titolo esecutivo per il pagamento delle spese di lite liquidate dal Giudice di primo grado, stante la riserva dell’efficacia di titolo esecutivo al dispositivo della sentenza per la sola parte relativa al credito di lavoro, con esclusione di quello per il rimborso delle spese di lite, che accede semplicemente al primo, ma ha natura ordinaria, corrispondendo ad un diritto autonomo del difensore, che sorge direttamente in suo favore nei confronti della parte dichiarata soccombente.

La parte opponente eccepisce, in primo luogo, l’inidoneità del dispositivo della sentenza a valere quale titolo esecutivo ex art.431 cpc, stante l’avvenuto deposito, alla data della notificazione del precetto, della sentenza di risarcimento di danni per infortunio sul lavoro. completa di motivazione, da considerarsi, pertanto, unico provvedimento idoneo a valere come titolo esecutivo.

A norma dell’art.431, comma 2, cpc “All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza”.

La Suprema Corte ha chiarito che, nel rito del lavoro, il dispositivo conserva la sua efficacia esecutiva anche dopo il decorso del termine di deposito della motivazione della sentenza e nonostante il già avvenuto deposito della sentenza.

Tale principio era già stato enunciato dalle S.U. nella sentenza 9 marzo 1979, n. 1464, nella quale è stato affermato che, con la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 431 cpc, nel testo modificato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, il legislatore, derogando alle ordinarie norme processuali in tema di esecuzione, ha voluto conferire al dispositivo della sentenza immediata e piena efficacia di titolo esecutivo, destinata a permanere, in relazione allo specifico fine perseguito dal legislatore, anche dopo il decorso del termine di quindici giorni (all’epoca stabilito) ex art. 430 cpc e nonostante il già avvenuto deposito della sentenza.

Ad ulteriore conferma del principio enunciato, viene successivamente osservato che, “in realtà, dovendosi precipuamente nel dispositivo ravvisare il momento precettivo della decisione e risolvendosi la redazione della motivazione nella espressione grafica dei motivi in fatto e in diritto già valutati, si impone il rilievo che, ove la parte intraprendesse l’esecuzione sulla base del solo dispositivo pur dopo il deposito della sentenza, sarebbe un inutile formalismo paralizzarne l’iniziativa sulla base di una presunta cessazione dell’efficacia originariamente attribuita al titolo utilizzato; e si andrebbe, per di più, incontro all’obiezione che è contraddittorio permettere l’esecuzione in presenza di un atto incompleto e bloccarla, invece, quando per effetto del deposito della sentenza e della sua immediata comunicazione (art. 430 cod. proc. civ.), l’atto è sostanzialmente integro in ogni suo elemento”.

E’ inconferente quanto dedotto dall’opponente circa il principio enunciato dalla Corte di legittimità nella sentenza n.10164 del 28 aprile 2010 .

Infatti il rigetto del motivo di ricorso per cassazione – con il quale si lamentava la violazione del divieto di spedire più di una copia in forma esecutiva del medesimo titolo, in relazione alla circostanza dell’avere il lavoratore chiesto ed ottenuto, dopo il rilascio di una copia del dispositivo in forma esecutiva, anche il rilascio di copia della sentenza completa di motivazione in forma esecutiva – è stato motivato in base al rilievo per cui la nuova copia in forma esecutiva del medesimo titolo era stata rilasciata con attestazione nella copia del dispositivo rilasciato in precedenza in forma esecutiva che il titolo provvisorio non era stato azionato.

In ogni caso, la duplicazione di procedure esecutive sulla base di un medesimo titolo, che il divieto di rilascio di una seconda copia di esso in forma esecutiva persegue, deve ritenersi potere essere addotto quale motivo di opposizione all’esecuzione che sia stata promossa in base a precetto notificato unitamente alla seconda copia del titolo spedita in forma esecutiva, anziché quale motivo di opposizione all’esecuzione iniziata sulla base della copia del dispositivo.

Nel momento in cui tale copia viene notificata, invero, rappresenta l’unica in forma esecutiva in possesso della parte istante e l’esecuzione da questa annunciata al debitore in base alla copia stessa risulta, dunque, legittima, a condizione che la copia, ovviamente, sia stata rilasciata, come nel caso di specie, prima del deposito della sentenza completa di motivazione in Cancelleria, e, quindi, in un momento in cui il responsabile del rilascio ha potuto constatare che nessun’altra copia ne fosse stata spedita in forma esecutiva, consultando esclusivamente l’originale del dispositivo della sentenza.

La parte istante aveva l’onere di notificare la copia già rilasciatale in forma esecutiva, sebbene nelle more della notifica di essa fosse stata depositata la sentenza completa della motivazione.

Se, per contro, avesse richiesto di questa una copia in forma esecutiva, ottenendola magari a seguito del mancato rilievo dell’annotazione del rilascio della precedente, siccome apposta – tale annotazione – esclusivamente sull’originale del dispositivo letto in udienza, senza trascrizione sull’originale della sentenza successivamente depositata, si sarebbe, allora, verificata effettivamente una duplicazione del titolo, stante la permanenza dell’efficacia esecutiva della copia già rilasciata, sino all’eliminazione della seconda copia mediante accertamento dell’illegittimità del rilascio di essa, in esito, se del caso, ad una – in tal situazione fondata – opposizione al precetto notificato sulla base della seconda copia medesima.

In conclusione, sulla base di tali considerazioni, viene rilevata l’infondatezza del primo motivo di opposizione.

Venendo al motivo di opposizione all’esecuzione si osserva che il presupposto sul quale lo stesso si basa – ossia quello dell’avere il difensore della parte istante effettuato dichiarazione ex art,93 c.p.c. nel giudizio in esito al quale era stata emessa la sentenza del Tribunale di Teramo n.157/2019 – è privo di elementi di riscontro.

Infatti, dalla copia della sentenza prodotta in forma integrale dall’opposto, risulta, nella trascrizione delle conclusioni rassegnate dal ricorrente, che questi aveva richiesto la condanna al rimborso delle spese processuali in proprio favore e non già che il suo difensore avesse reso la dichiarazione di cui all’art.93 cpc.

Di conseguenza, deve ritenersi titolare del diritto di intimare il pagamento, sulla base della sentenza, anche per il pagamento delle spese di lite liquidate con la stessa, il solo lavoratore a favore del quale la condanna è stata emessa.

Diversa è l’ipotesi, invocata dall’opponente con richiamo giurisprudenziale, in cui il dispositivo della sentenza contenga la condanna al rimborso delle spese processuali in favore del difensore del lavoratore, difensore che ha reso la dichiarazione ex art.93 c.p.c.; infatti, implicando tale dichiarazione l’assunzione da parte del difensore della qualità di titolare esclusivo del diritto al rimborso delle spese anticipate ed alla riscossione dei compensi difensivi dovuti per l’opera professionale svolta nel giudizio definito con la sentenza, la notifica del solo dispositivo di essa , a norma dell’art.431, secondo comma, c.p.c. non sarebbe stata idonea, per come chiarito dalla giurisprudenza, giustamente invocata dall’opponente, a valere quale atto preliminare all’esecuzione, non estendendosi l’esecutorietà prevista dalla disposizione citata al credito relativo alle spese distratte .

Alla luce delle considerazioni che precedono, l’opposizione della società datrice di lavoro viene respinta e le spese di lite vengono liquidate secondo la regola della soccombenza.

Avv. Emanuela Foligno

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