Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza; tuttavia non sono punibili le attività di coltivazione domestica di minime quantità destinate al consumo personale

La vicenda

L’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione contro la pronuncia della Corte d’Appello di Napoli che lo aveva condannato, tra gli altri reati, per la coltivazione domestica di due piante di marijuana.

Con ordinanza dell’11 giugno 2019, la Terza Sezione Penale della Cassazione, evidenziando l’esistenza di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità – in relazione alla nozione giuridica della “coltivazione” di piante da cui siano ricavabili sostanze stupefacenti – ha rimesso la questione al vaglio delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma1.

Nell’ordinanza di rimessione, il Supremo Collegio ha posto a confronto i due differenti indirizzi delineatisi nella giurisprudenza di legittimità.

In particolare si è rilevato che, secondo un primo indirizzo, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato (Sez. 3, n. 36037 del 22/02/2017; Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016; Sez. 6, n. 5254 del 10/11/2015; Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014).

Secondo un diverso orientamento, ai fini della punibilità della coltivazione di stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, nell’obiettivo di scongiurare il rischio di diffusione futura della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 35654 del 28/04/2017; Sez. 53337 del 23/11/2016; Sez. 6, n. 52547 del 22/11/2016; Sez. 6, n. 25057 del 10/05/2016; Sez. 3, n. 23881 del 23/02/2016).

La Sezione remittente ha sollecitato, dunque, le Sezioni Unite ad un intervento di nomofilachia in ordine alla definizione di offensività in concreto, del reato di coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti.

La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite, è stata la seguente: “Se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato”.

Coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica

Ebbene, il Supremo Collegio ha, in primo luogo, circoscritto la nozione giuridica di coltivazione distinguendo tra coltivazione “tecnico-agraria” e coltivazione “domestica; ed ha affermato che non può essere condivisa l’affermazione secondo cui la coltivazione domestica è riconducibile alla nozione di detenzione, la quale è penalmente irrilevante se finalizzata al consumo personale.

Tale affermazione si basa, infatti, sul presupposto della commistione fra il concetto di coltivazione e il concetto di detenzione, che non può essere condivisa.

“L’irrilevanza penale della coltivazione di minime dimensioni, finalizzata esclusivamente al consumo personale – hanno affermato le Sezioni Unite – deve essere ancorata, non alla sua assimilazione alla detenzione e al regime giuridico di quest’ultima, ma, più linearmente, alla sua non riconducibilità alla definizione di coltivazione come attività penalmente rilevante; dandosi, così, un’interpretazione restrittiva della fattispecie penale, che si giustifica tanto più per la sua natura di reato di pericolo presunto, nell’ottica garantista di un corretto bilanciamento fra ampiezza e anticipazione della tutela”.

L’offensività della condotta di coltivazione di sostanze stupefacenti

Venendo al versante dell’offensività, ritengono le Sezioni Unite che l’esclusione della punibilità delle attività di coltivazione domestica, che opera sul piano della tipicità, renda a fortiori condivisibili le considerazioni svolte dalla giurisprudenza maggioritaria circa la più spiccata pericolosità della coltivazione rispetto alla maggior parte delle altre condotte elencate nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, – ovvero, quelle diverse dalla fabbricazione e dalla produzione – perché l’attività di coltivazione è destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi di stupefacente disponibili.

E ciò, a tacere del fatto che, a differenza delle altre condotte “produttive”, l’attività colturale ha la peculiarità di non richiedere neppure la disponibilità di “materie prime” soggette a rigido controllo, ma normalmente solo di semi (C. Cost., n. 109 del 2016). È, dunque, ampiamente giustificato l’esercizio della discrezionalità legislativa nella strutturazione della fattispecie penale, nel senso dell’anticipazione della tutela fino al pericolo presunto, in quanto corrisponde alla normalità della pratica agricola la conseguenza dell’incremento della provvista esistente di stupefacente, idoneo ad attentare al bene della salute collettiva e dei singoli, creando in potenza maggiori occasioni di spaccio. In altri termini, deve essere ritenuta pienamente conforme con il principio di ragionevolezza la valutazione prognostica di potenziale aggressione al bene giuridico protetto, sottesa all’incriminazione della coltivazione, con la sola esclusione di quella domestica, alle condizioni sopra richiamate.

La pronuncia delle Sezioni Unite

Questa soluzione – hanno aggiunto gli Ermellini- ha il duplice merito di rispettare l’autonomia concettuale della coltivazione rispetto alla detenzione (nel senso che può ontologicamente aversi coltivazione senza detenzione, cioè senza produzione in atto di sostanza stupefacente), e di venire incontro all’esigenza, che appartiene alla sfera della logica ancor prima che a quella della politica criminale, di evitare che l’effettiva sussistenza del reato dipenda dal dato, puramente contingente, rappresentato dal momento dell’accertamento.

Diversamente opinando, si finirebbe per poter ritenere penalmente irrilevanti coltivazioni industriali, anche di larghe dimensioni e potenzialmente molto produttive, per il solo fatto di trovarsi in un arretrato stadio di sviluppo (Sez. 3, n. 21120 del 31/01/2013).

In conclusione, le Sezioni Unite hanno sostenuto l’affermazione della mancanza di tipicità – qualora ricorrano tutte le condizioni sopra specificate – della condotta di coltivazione domestica destinata all’autoconsumo; condotta in relazione alla quale non potrà trovare applicazione il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, perché tale disposizione non si riferisce in nessun caso alla coltivazione, neanche a quella penalmente rilevante.

La coltivazione domestica di stupefacenti destinata a uso personale

Qualora, però, la coltivazione domestica a fini di autoconsumo produca effettivamente una sostanza stupefacente dotata di efficacia drogante, le sanzioni amministrative dell’art. 75 richiamato potranno essere applicate al soggetto agente considerato non come coltivatore, ma come detentore di sostanza destinata a uso personale. In presenza di una coltivazione penalmente rilevante, invece, la detenzione da parte del coltivatore dello stupefacente prodotto dovrà essere ritenuta assorbita nella coltivazione, secondo le indicazioni già fornite in tal senso da Corte Cost. n. 109 del 2016, per cui la disponibilità del prodotto della coltivazione non rappresenta altro che l’ultima fase della coltivazione stessa, tale da poter essere qualificata come post factum non punibile, in quanto ordinario e coerente sviluppo della condotta penalmente rilevante.

Vi è, in altre parole, una graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni: a) devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo – alle condizioni sopra elencate – per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto; b) la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75; c) alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l’art. 131-bis c.p., qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, nonché, in via gradata, il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto.

Tanto premesso, è stato affermato il seguente principio di diritto:

“Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 12348/2020).

Avv. Sabrina Caporale

Leggi anche:

CESSIONE DI STUPEFACENTI IN OSPEDALE: CONDANNA AGGRAVATA PER IL COLPEVOLE

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui