In tema di spese processuali, e con riferimento al processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo, non ricorre un generale esonero dall’onere delle spese a carico del soccombente (Corte di Cassazione, II civile, 22 novembre 2024, n. 30145).
La vicenda
Il lavoratore impugna il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo in data 9 gennaio 2017, rilevando sia il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 7 L. 604/66, sia la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento riguardo al mancato assolvimento dell’onere di ripescaggio.
Il Giudice della fase sommaria e dell’opposizione accoglieva il ricorso solo parzialmente, sotto il profilo del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, e assegnavano al lavoratore un’indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 18, comma 6, Statuto dei lavoratori.
A seguito di reclamo del lavoratore, la Corte di Brescia rilevava l’illegittimità del licenziamento per il mancato assolvimento dell’onere di ripescaggio, assegnando al lavoratore solo un’indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 18, comma 5, Statuto dei lavoratori.
Il lavoratore ricorre in Cassazione che, con ordinanza 06/7/2022, avendo la sentenza impugnata escluso la manifesta insussistenza dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore altrove sulla base di circostanze di fatto che non hanno nulla a che vedere con l’impossibilita di ricollocare il lavoratore altrove, accoglieva il ricorso, con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione.
Il giudizio di riassunzione
Nel giudizio di riassunzione, la Corte lombarda dichiarava il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori e al risarcimento del danno nella misura massima prevista attualmente dalla norma, 12 mensilità dell’ultima retribuzione. Tuttavia, il lavoratore veniva reintegrato nel posto di lavoro soltanto a seguito della sentenza della Corte di Cassazione pronunziata all’esito del giudizio di rinvio, e nel periodo tra il licenziamento e la pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro percepiva solo 28.735 euro.
Dunque, per effetto della durata del processo, alla sopra citata somma vanno aggiunte le 12 mensilità di indennità risarcitoria assegnate in sede di rinvio (22.941,12 euro), per complessivi 51.576,12 euro. In costanza del rapporto di lavoro, invece, avrebbe percepito le retribuzioni dal licenziamento alla reintegrazione nel posto di lavoro (come del resto era disposto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori sino alla L. 92/12), e dunque 140.514,36 euro (1.911,76 euro x 73,5 mensilità).
Il tutto per un danno provocato dalla durata del processo, stante il limite di 12 mensilità alla commisurazione dell’indennità risarcitoria per il periodo tra il licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro posto dall’art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori nella versione modificata dalla L. 92/12, di 88.938,24 euro (140.514,36 euro – 51.576,12 euro).
Non sussiste una durata irragionevole del processo
Ciò premesso, il lavoratore chiedeva, disponendo, ove occorra, rimessione di questione di costituzionalità, condanna del Ministero convenuto al pagamento dell’equa riparazione del danno patito per la durata non ragionevole del processo all’esito del quale ne è stata disposta la reintegrazione nel posto di lavoro, di cui si chiedeva la determinazione nella misura di 88.938,24 euro, o nella diversa misura, minore o anche maggiore, ritenuta di giustizia.
La Corte di Brescia ha dichiarato la domanda priva di fondamento, non sussistendo una durata irragionevole del processo e il lavoratore ha proposto impugnazione.
La Corte di appello di Brescia, con decreto collegiale 13 novembre 2023 n. 642/2023, ha rigettato l’opposizione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Il secondo ricorso in Cassazione
Il lavoratore si rivolge alla Corte di Cassazione contestando il decreto nella parte in cui ha negato alla parte danneggiata dalla durata del processo un indennizzo, a fronte di un danno di 88.938,24 euro e omettendo di disporre la rimessione della questione di costituzionalità. Evidenzia come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 303/11, ha “salvato” la legittimità costituzionale del limite di 12 mensilità, posto dall’art. 32, comma 5, L. 183/10 all’indennità risarcitoria dovuta nel caso di dichiarazione del diritto del lavoratore al ripristino del rapporto di lavoro, solo in ragione del fatto che “disparità di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore… devono essere escluse… per la ragione che… l’ordinamento predispone particolari rimedi, come… gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89“
Le censure vengono integralmente respinte dalla Cassazione la quale evidenzia che la questione di legittimità costituzionale della L. 89 del 2001 è stata più volte affrontata sia riguardo ai limiti edittali dell’indennizzo, sia in relazione al termine ritenuto ragionevole della durata del processo.
L’obiter della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, attraverso un obiter ha affermato: “Non è condivisibile neppure il rilievo della indebita omologazione, da parte dei modello indennitario delineato dalla normativa in esame, di situazioni diverse. Come, ad esempio, la situazione del lavoratore il quale ottenga una sentenza favorevole in tempi brevi, possibilmente in primo grado, rispetto a quella di chi risulti vittorioso solo a notevole distanza di tempo (magari nei gradi successivi di giudizio).
Ovvero del datore di lavoro il quale spontaneamente riammetta in servizio il prestatore nelle more del processo, pagandogli, intanto, il corrispettivo, rispetto ad altro datore che abbia invece “resistito” ad oltranza, evitando di riprendere con sé il lavoratore.
È evidente che si tratta di inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l’eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari). Siffatti inconvenienti – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – non rilevano ai fini del giudizio di legittimità costituzionale (sentenze n. 298 del 2009, n. 86 del 2008, n. 282 del 2007 e n. 354 del 2006; ordinanze n. 102 del 2011, n. 109 del 2010 e n. 125 del 2008).
Sicché, non è certo dalle disposizioni legislative censurate che possono farsi discendere, in via diretta ed immediata, le discriminazioni ipotizzate.
Peraltro, presunte disparità di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine devono essere escluse anche per la ragione che il processo è neutro rispetto alla tutela offerta, mentre l’ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998), nonché gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del codice di procedura civile)”.
Questo significa che comunque esiste un rimedio contro l’eccessiva durata del processo allorquando vi siano disparità di trattamento tra lavoratori che si trovino in situazione analoghe, ma senza entrare nel merito di ciò che si intende né per durata ragionevole, né sull’eventuale importo da liquidare in caso di sua violazione, rinviando genericamente al sistema della L. 89 del 2001.
Ciò è perfettamente allineato ai dettami della Corte di Strasburgo.
La compensazione delle spese processuali
Venendo alla compensazione delle spese processuali, anch’essa contestata, viene specificato che in tema di spese processuali, e con riferimento al processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo, non ricorre un generale esonero dall’onere delle spese a carico del soccombente.
Tale procedimento camerale ha natura contenziosa e, pertanto, ai fini della liquidazione dei compensi spettanti agli avvocati va applicata la tabella 12 allegata al D.M. n. 55 del 2014. Dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non discende un obbligo a carico del legislatore nazionale di conformare il processo per equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione medesima.
Gli importi liquidati risultano, comunque, al di sotto dei minimi tariffari, disciplinati dal D.M. 55/2014.
Avv. Emanuela Foligno