Frequentemente, nelle procedure giudiziarie di separazione, l’aggressività scatenata nella coppia in crisi porta a rappresentare uno dei partner come colpevole della rottura coniugale e questo non solo agli occhi dell’organo giudicante, ma anche di fronte al bambino, chiamato ad assumere il ruolo di alleato e testimone delle incapacità dell’altro genitore. E sottilmente influenzato perché esprima giudizi (possibilmente pesanti)  sull’altro genitore, rendendo così impossibile l’affidamento a questi. (Casonato, Mazzola).

Queste condotte dei minori – sempre più frequenti – emergono soprattutto in sede giudiziaria, rendendo ancor più difficile il ruolo dell’organo giudicante nel modellare il contenuto delle proprie decisioni avendo cura del “superiore interesse del minore”.

Si sente spesso parlare intorno a queste vicende, di “alienazione parentale”, che prima di tutto costituisce una condizione di interesse psichiatrico, ma anche, al tempo stesso, una autonoma condizione di interesse giuridico e processuale.

Lo studioso Bernet (2010), a tal riguardo, ha fornito alcune importanti precisazioni non soltanto terminologiche in materia. In particolare, per “alienazione parentale” ha affermato intendersi, la “forte alleanza di un bambino con un genitore e il rifiuto di una relazione con l’altro genitore senza giustificazione legittima”.

Diversa è la c.d.  “sindrome di alienazione parentale” (PAS) che rappresenta un sottoinsieme dell’alienazione parentale, presentandosi allorquando il rifiuto del bambino di un genitore è attivamente influenzato dall’altro ex coniuge; e il “disturbo di alienazione parentale” (PAD), che invece, indica la situazione relazionale disfunzionale del bambino che sperimenta l’alienazione parentale indipendentemente dal contesto, cioè con o senza intervento manipolatorio di un genitore sul bambino contro l’altro genitore.

Da anni si registra una particolare resistenza degli organi giurisdizionali a riconoscere nelle rotture di coppia coinvolgenti minori l’alienazione parentale.

Non è stato, però, il caso della I Sezione Civile del Tribunale di Roma, che con la sentenza n. 18475/2015 ha condannato una donna a risarcire il danno non patrimoniale derivante dalla PAS, cagionato all’ex marito facendo di tutto per distruggere i rapporti tra questo e la loro figlia minore.

Il diritto alla genitorialità costituisce un diritto costituzionalmente tutelato – hanno affermato i giudici di merito – e pertanto il relativo danno può essere liquidato in forma equitativa, valutandolo come una lesione di interessi inerenti alla persona e non connotati da una rilevanza economica.

All’uomo sono stati così riconosciuti ben 20mila euro a fronte del fatto che i rapporti con la propria figlia minore erano stati interrotti per oltre nove anni a causa della separazione dalla ex moglie e alla sistematica opera di denigrazione e agli ostacoli che quest’ultima aveva posto nel rapporto padre/figlia.

Importante, dunque, l’apertura del Tribunale romano verso un tema che al momento costituisce una sorta di spina dorsale delle scissioni di coppia altamente conflittuali, con ripercussioni inevitabili sulla salute psico-fisica e sul benessere dei più piccoli.

Avv. Sabrina Caporale

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