Lavoratore schiacciato da un macchinario, contestato il piano di sicurezza

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L’infortunio si verificava il 18 luglio 2016 a Sesto Fiorentino, in un magazzino di proprietà della Esselunga s.p.a. ove erano in corso lavori di ristrutturazione che vedevano coinvolte più imprese. I giudici di merito e la Cassazione si concentrato sul Piano di sicurezza e coordinamento.

La ricostruzione dei fatti

Il Piano di sicurezza e coordinamento (PSC), predisposto dal coordinatore per la sicurezza nella fase della progettazione, prevedeva che le aree di lavoro delle diverse imprese dovessero essere separate in modo da evitare interferenze tra le lavorazioni. Il giorno dell’infortunio i dipendenti della E. dovevano trasportare all’interno del magazzino alcune longarine metalliche lunghe 10 metri che sarebbero state impiegate per realizzare un soppalco. Le longarine dovevano essere collocate nella zona sud del capannone, destinata alla ditta E., ed erano portate all’interno della struttura attraverso una porta presente sul lato sud. Nella zona nord, invece, lavorava la ditta S.F. i cui dipendenti utilizzavano una porta situata sulla parete nord. Le aree operative assegnate alle due ditte erano delimitate da un nastro bianco e rosso.

Il trasporto delle longarine all’interno del capannone avveniva con carrelli elevatori che prelevavano e trasportavano una longarina alla volta. L’infortunato, dipendente della ditta E., insieme a un collega, collaborava da terra accompagnando i carrelli nel percorso e dando indicazioni ai colleghi. Mentre svolgeva questa attività, egli fu urtato da un sollevatore a forche, condotto da un dipendente della ditta S.F., che, procedendo in retromarcia, aveva invaso l’area di capannone assegnata alla ditta E. La gamba sinistra del lavoratore rimase schiacciata tra la ruota del sollevatore a forche e la longarina accanto alla quale egli si trovava.

La vicenda giudiziaria

I Giudici di merito hanno ritenuto che il coordinatore della sicurezza non verificava la corretta attuazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni del PSC, in base al quale, terminato l’allestimento del cantiere, le aree di pertinenza delle singole imprese dovevano essere “segregate”, e non semplicemente separate da un nastro.

Quanto al datore di lavoro dell’infortunato, presente in cantiere e concretamente ingeritosi nella materia della sicurezza del lavoro, non attuava quanto previsto nel Piano di sicurezza e coordinamento e nel POS e non assicurava la segregazione dell’area del cantiere destinata alle lavorazioni della ditta E. Secondo i Giudici, in sintesi, se le aree di cantiere assegnate alle diverse ditte non fossero state delimitate da un nastro, ma segregate con predisposizione di barriere rigide (come era previsto dal Piano di sicurezza e coordinamento), lo sconfinamento nell’area di competenza della ditta E. da parte del sollevatore a forche non sarebbe stato possibile e l’infortunio non si sarebbe verificato.

La Corte di Appello di Firenze ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza pronunciata il 21 marzo 2022 dal Tribunale di Firenze con la quale coordinatore della sicurezza e datore di lavoro sono stati ritenuti responsabili dell’infortunio del lavoratore.

Inutile il ricorso in Cassazione da parte dei due imputati

Viene sostenuto dal coordinatore della sicurezza che l’installazione di barriere rigide non era necessaria perché la ditta S.F. e la ditta E. operavano all’interno di un capannone di grandi dimensioni, a notevole distanza l’una dall’altra, le aree di rispettiva operatività erano state delimitate con un nastro bicolore e tale precauzione era sufficiente. Il rischio concretizzatosi, infatti, fu conseguenza dell’estemporanea decisione di spostare una betoniera (che, comunque, era posta a nove metri di distanza dal confine tra le due aree) e della maldestra esecuzione della manovra di retromarcia, realizzata dal conducente del sollevatore in modo tale da invadere l’area di competenza della ditta E.

Invece dal datore di lavoro dell’infortunato viene sostenuto che in relazione alle lavorazioni programmate per quel giorno, non v’era alcun rischio di interferenza tra la ditta S.F. e la ditta E., sicché il datore di lavoro non doveva intervenire per prevenirlo e proprio quel giorno, nell’area di cantiere assegnata alla ditta E. era intervenuta una squadra di elettricisti e il coordinatore per la sicurezza, dopo esserne stato informato, aveva stabilito che le lavorazioni della ditta E. dovessero essere sospese fino a che gli elettricisti non avessero terminato la propria opera. Ciò che puntualmente era avvenuto.

Nessuna delle censure viene accolta (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 3 luglio 2024, n. 25906).

Come concordemente accertato dai Giudici di merito, il Piano di sicurezza e coordinamento prevedeva in più punti che le diverse aree di lavoro delle imprese coinvolte nella ristrutturazione del capannone dovessero essere segregate e segnalate. Il PSC prevedeva: “il preposto dispone le attrezzature nelle zone assegnate a ciascuna impresa esecutrice, con l’accortezza di segnalare le aree per tenere lontani gli estranei, anche solo col nastro bicolore durante la predisposizione delle segregazioni e indicazioni, necessaria per ogni singola zona operativa”.

Prima di iniziare i lavori, il coordinatore per la sicurezza avrebbe dovuto indicare “le modalità di segregazione degli spazi assegnati all’interno delle aree del cantiere” e le “incompatibilità tra lavorazioni”. Per poter rilevare tali incompatibilità, egli doveva essere portato a conoscenza “degli interventi di manutenzione straordinaria, degli avvicendamenti ingresso e termine delle lavorazioni, dell’inizio delle lavorazioni, soprattutto quelle identificate come ad alto rischio”, così da poter “verificare periodicamente il rispetto delle prescrizioni e compatibilità della relativa parte di PSC”.

Dalle suddette disposizioni i giudici di merito hanno desunto che l’impresa affidataria doveva provvedere a delimitare l’area destinata alla prosecuzione dell’attività del supermercato rispetto a quella nella quale si sarebbero svolti i lavori di ristrutturazione e, all’interno di quest’ultima area, doveva delimitare le zone assegnate a ciascuna impresa esecutrice.

La lettura del Piano di sicurezza e coordinamento svolta dai giudici di merito è corretta

La segregazione delle aree non poteva essere sufficiente se il rischio interferenziale era tale da impedire il contestuale svolgimento di lavorazioni diverse. Ma, quando era possibile svolgere lavorazioni diverse in aree confinanti, la necessaria “segregazione” poteva avere caratteristiche differenti e prevedere barriere di diverso tipo a seconda dell’entità del rischio concreto. Una divisione realizzata con nastro bicolore, però, non è certamente una “segregazione” e quando l’infortunio si verificò, le lavorazioni in corso prevedevano, tra l’altro, anche la movimentazione di carichi, sicché, in concreto, il rischio interferenziale non era modesto.

Ad ogni modo, la S.C. osserva conclusivamente che la “segregazione” delle aree assegnate a imprese diverse era prevista dal Piano di sicurezza e coordinamento come generale misura di cautela da attuarsi ogniqualvolta si trattava di aree tra loro confinanti, a prescindere dal tipo di lavorazioni che in quelle aree dovevano essere compiute. Le caratteristiche delle lavorazioni, infatti, potevano incidere sull’estensione dell’area e sul tipo di segregazione da predisporre, ma non sulla necessità dii procedere alla “segregazione” e non può essere definita tale l’indicazione di una linea di confine realizzata tramite un nastro bicolore.

Con motivazione congrua, non contraddittoria e non illogica i Giudici di appello hanno osservato che, per espressa previsione del Piano di sicurezza e coordinamento, tutti gli spazi del cantiere dovevano essere “perfettamente segregati e non accessibili da estranei, frapponendo un sistema di transennature in modo da realizzare dei filtri ai percorsi degli addetti con evidenti segnalazioni di pericolo”.

Avv. Emanuela Foligno

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