L’infortunio è avvenuto per utilizzo di una scala non idonea perché priva di gradini antiscivolo, di piedini in gomma e di sistema di ancoraggio. La sentenza verte sull‘obbligo di sicurezza tra committente e sub-committente.
La vicenda
La Corte d’Appello di Venezia, confermando la sentenza di primo grado, preso atto della conciliazione intervenuta tra il lavoratore infortunato e la committente, la datrice di lavoro e la compagnia assicuratrice di quest’ultima, respinge la domanda di risarcimento del danno differenziale nei confronti della appaltatrice e del responsabile della sicurezza del cantiere.
Il giorno 9 ottobre 2007 il lavoratore era di turno presso il cantiere edile della committente, ad una altezza dal suolo di circa 3,50 metri, quando è caduto dalla scala a pioli in alluminio, presuntivamente priva di gradini antiscivolo, di piedini in gomma e di ancoraggio alle pareti, scala non più rinvenuta sul luogo dell’infortunio.
I Giudici di appello, hanno dato atto che “dall’esame delle prove testimoniali espletate nel primo giudizio è emerso che nessuno ha assistito alla caduta dalla scala; quando sono stati prestati i primi soccorsi effettivamente una scala a pioli è stata vista per terra vicino alla vittima in ogni caso la scala in oggetto, conclusosi l’intervento del servizio 118, non è stata più rinvenuta”.
Quindi, risultava che il lavoratore non forniva prova idonea circa le caratteristiche della scala escludendo la possibilità di valutare la idoneità della stessa.
La vittima infortunata si rivolge alla Corte di Cassazione che accoglie le sue censure inerenti la responsabilità della appaltatrice e sub-committente, nonché del responsabile della sicurezza del cantiere e i criteri di distribuzione dell’onere della prova (Cassazione Civile, sez. lav., 17/05/2024, n.13762).
La posizione del committente e del sub-committente e l’obbligo di sicurezza
Con riferimento alla posizione del committente e del sub-committente, la S.C. dando seguito all’orientamento consolidato (Cass. n. 2517 del 2023 e precedenti ivi richiamati tra cui Cass. n. 12465 del 2020; n. 798 del 2017; n. 11362 del 2009), ribadisce l’obbligo delle imprese committenti (o sub-committenti), che affidino lavori ad altre imprese, all’interno della azienda o dell’unità produttiva (cui è certamente da assimilarsi il cantiere di costruzione, nel settore dell’edilizia), di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, nonché di cooperare nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, nell’ambito dell’intero ciclo produttivo, riconoscendone la responsabilità per i danni derivati al lavoratore nel corso dell’attività lavorativa concessa in appalto o in sub-appalto, a causa dell’inosservanza delle misure di tutela delle condizioni di lavoro, ai sensi degli artt. 2087 c.c. e dell’art. 7D.Lgs. 626/1994, come modificato dalle leggi n. 296 del 2006 e n. 123 del 2007.
Nello specifico, la citata sentenza n. 2517 del 2023, ha interpretato le locuzioni normative di cui agli artt. 6, par. 4, della Direttiva 89/391/CEE (datori di lavoro), e 8 della Direttiva 92/57/CEE (realizzazione dell’opera) nel senso che nella categoria dei “datori di lavoro” tenuti agli obblighi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, rientrano sia il sub-committente che il sub-appaltatore.
Ciò chiarito, la Corte di Appello, da un lato, ha focalizzato l’obbligo di sicurezza avendo riguardo unicamente alla scala usata dal lavoratore, così tralasciando gli obblighi di prevenzione e protezione che gravano, oltre che sul datore di lavoro e sulla committente (nella specie parti di un accordo transattivo con il lavoratore infortunato), sul sub-committente, ai sensi dell’art. 7, D.Lgs. n. 626 del 1994.
La distribuzione dell’onere della prova
Per quanto riguarda la distribuzione dell’onere della prova, i Giudici di Appello, a fronte delle allegazioni e prove fornite dal lavoratore sullo svolgimento di attività lavorativa con l’uso di una scala a pioli per lavori in quota, senza alcuna cautela, e sulla avvenuta caduta dalla scala, hanno erroneamente addossato al lavoratore, l’ulteriore onere (reputato non assolto) di dimostrare “a chi appartenesse la scala” (misteriosamente sparita dal cantiere) e se la stessa fosse “dotata dei dispositivi di sicurezza”.
Al riguardo, viene ribadito che l’onere di allegazione e prova facente capo al lavoratore è limitato alla condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalità di esecuzione della prestazione, e al nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo e il danno psicofisico sofferto.
La Corte di Appello, nel momento in cui ha affermato che la sparizione della scala (e quindi l’impossibilità di stabilire a quale delle imprese presenti in cantiere la stessa appartenesse e se fosse dotata dei necessari requisiti di sicurezza) portasse a ritenere non assolto l’onere di prova gravante sul lavoratore, non si è attenuta ai principi di diritto sull’obbligo di sicurezza del sub-committente e sulla ripartizione degli oneri di prova, così violando gli artt. 2087 e 2697 c.c. e gli artt. 7,34-36 del D.Lgs. n. 626 del 1994.
Avv. Emanuela Foligno