“Il medico è un uomo che vale più di tanti altri e non ha pari nel cavar dardi dalle piaghe e spargerle di balsamiche stille”. Così recitava il grande Poeta nell’Odissea e circa quattro secoli più tardi, nella Grecia di Ippocrate, la figura del medico, le cui particolari conoscenze lo collocavano ancora quale mediatore tra la divinità e l’uomo, godeva di particolari privilegi e della impunità giuridica.

Il paternalismo ippocratico, poi miseramente naufragato nel secolo scorso, era fondato sul dovere del medico di fare il bene del paziente. Il malato da parte sua aveva il dovere di accettare ogni decisione del medico. Oggi tutto è mutato: la medicina è più consapevole (deve o dovrebbe essere sostenuta dall’evidenza scientifica). Al medico sono sì richieste specifiche competenze e conoscenze, ma sanitario e paziente sono in un rapporto di maggiore vicinanza che conduce ad interventi e scelte terapeutiche più meditate e condivise.

L’insindacabilità dell’operato del medico è ormai retaggio di un lontano passato: oggi, senza nulla togliere all’esperienza e alla scienza, la condivisione consapevole di scelte procedurali apre nuovi capitoli di responsabilità e co-responsabilità. Intendendo con tali termini, tutti positivi, il concetto che medico e paziente, ognuno per quel che gli compete, si fanno carico di garantire la legittimità e la correttezza delle proprie azioni proiettandosi sulle conseguenze delle stesse. Tale visione non deresponsabilizza il sanitario, che rimane a rispondere del proprio agire professionale, a maggior ragione quando lo stesso non risulti conforme allo stato dell’arte, tanto più in caso di conseguenze negative. Apre, tuttavia, capitoli di co­responsabilità che ricadono sulla condotta del paziente stesso, sulla sua adesione a prescrizioni e consigli, sul rispetto degli stessi.

Sembra una contraddizione, ma di fatto non lo è: il sistema normativo italiano si sta avviando verso una specie di deresponsabilizzazione della colpa lieve del medico con riferimenti a protocolli e linee guida che tanto fanno paura a sanitari e pazienti/utenti in quanto, di certo, ancora oggi non è chiaro quali siano le linee guida da seguire, quali le società scientifiche titolate a redigerle, che valore assumano nel caso concreto.

Di fatto, però, il fine non è la deresponsabilizzazione acritica e standardizzata della condotta del medico sulla semplice base di generici riferimenti alle regole dell’arte. Ciò non può accontentare i medici e, nel contempo, non soddisfa le associazioni dei cittadini: di fatto, inoltre, non esclude la colpa medica. Il medico non è, e non può essere, un mero esecutore di prestazioni tecnico professionali, ma assieme al paziente si assume oneri ed obblighi, in un impegno reciproco nel contesto di quell’atto negoziale rappresentato dal contratto di cura.

In caso di insuccesso, ciascuna parte dovrà dimostrare di aver rispettato i patti e le scelte, pur nella consapevolezza che in ogni attività sanitaria è insito l’elemento imponderabile, il rischio professionale, la cui intensità cresce in proporzione alle difficoltà da affrontare, al caso specifico ed alle condizioni in cui si opera. Al cittadino paziente/utente non interessa quanto pesi, nella determinazione del danno, la componente tecnica (malpractice) o la componente gestionale sanitaria (malasanità).

Di certo queste componenti devono essere individuate per attribuire le responsabilità. Competenza, serietà professionale, costante aggiornamento, buona gestione del rapporto con il paziente, comunicazione chiara ed esaustiva sono gli elementi che devono contraddistinguere l’operato del medico. La struttura sanitaria deve riuscire a mettere il medico in condizione di avere mezzi e tempi per esercitare la professione in modo adeguato. Chi ricopre ruoli dirigenziali ha il dovere di fare da tramite con la politica e sostenere le istanze a vantaggio sia del medico che del paziente, non rinunciando a fare ciò che è giusto solamente per potersi garantire il posto che occupa.

Il paziente deve prendere atto del difficile momento socio-politico-economico che stiamo vivendo e abbandonare pretenziosità ed arroganza spesso ingiustificate verso il curante. Non può essere trascurato il ruolo pregnante dell’informativa fornita e del consenso prestato, senza ovviamente che questi autorizzino a condotte inidonee o errate. Per contro deve essere chiaro che, una volta accettata e condivisa, la scelta non può essere caricata, o meglio “scaricata”, esclusivamente sulle spalle del Sanitario e, in caso di risultati inferiori alle aspettative, non si può rapportare una medicina condotta con i pochi mezzi spesso a disposizione con quanto di più moderno ed efficace venga proposto, talora ancora sperimentalmente, nei centri di eccellenza.

Maria Sofia Rini -­ Marco Brady Bucci
(Odontoiatri Forensi)

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