Confermato il licenziamento di un lavoratore che durante il periodo di malattia si era recato in vacanza al mare
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 13980/2020 si è pronunciata sul ricorso di un lavoratore che si era visto respingere, in sede di merito, l’impugnazione del licenziamento intimato dalla datrice di lavoro. La corte territoriale, nello specifico, aveva ritenuto che l’escussione in appello degli investigatori privati incaricati dalla società aveva fatto superare ogni censura inerente la validità della relazione dagli stessi redatta e dato la prova dei fatti addebitati al ricorrente, quali il compimento di attività non compatibili con lo stato patologico denunciato e con la fruizione della astensione dal lavoro per malattia. In base a quanto appurato, l’uomo non aveva osservato le fasce di reperibilità, oltre ad essersi recato in vacanza al mare nel mese di agosto; tutti elementi ritenuti rilevanti ai fini disciplinari nonché lesivi del vincolo fiduciario, con esclusione, quindi, di ogni carattere discriminatorio del recesso intervenuto.
Nel ricorrere per cassazione il lavoratore eccepiva, tra gli altri motivi, che la Corte territoriale avesse ritenuto che i fatti accertati fossero idonei a ritardare la guarigione e ad aggravare la condizione di salute del ricorrente, con legittimità del licenziamento irrogato. L’uomo evidenziava che le circostanze di fatto accertate e valutate dal giudice del gravame, “quali il caricare un comodino vuoto in macchina con l’aiuto di altra persona, il viaggio in treno da Milano in Puglia, lo stare in piedi in una barca, il camminare con infradito su strada non asfaltata e lo stare fuori di casa per l’intera giornata”, non fossero condizioni di ritardo della guarigione. Rilevava, peraltro, che condizioni similari erano state valutate dal Giudice di legittimità, in altre decisioni, come non significative ai fini del giudizio di legittimità del licenziamento.
I Giudici del Palazzaccio, tuttavia, hanno ritenuto di non aderire alle doglianze dell’impugnante, dichiarando il ricorso inammissibile.
Gli Ermellini hanno ribadito, in relazione agli “standard valutativi” adottati da precedenti decisioni di legittimità e richiamati dal ricorrente a sostegno della errata valutazione del giudice d’appello, il principio secondo cui “in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata – la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena – senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell’interesse del datore di lavoro”.
Tuttavia, l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia “è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa”.
In siffatta fattispecie, è il datore di lavoro ad essere onerato della prova che in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il comportamento tenuto dal lavoratore durante il periodo di inabilità temporanea certificata contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro senza che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all’attività lavorativa .
Nel caso in esame la Suprema Corte ha ritenuto che la decisione della corte territoriale fosse stata accompagnata e sostenuta da un concreto giudizio circa le circostanze che, congiuntamente valutate, costituivano indicatori “di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione”.
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