Malattia del dipendente per cause di servizio, l’intervento delle Sezioni Unite

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I congiunti del dipendente del Ministero della Difesa (sottoufficiale motorista navale) adivano il TAR Lazio al fine di ottenere l’annullamento del D.M. Difesa 20 novembre 2012, n. 145 con il quale il Ministero respingeva l’istanza di concessione dei benefici, economici e giuridici, previsti in favore delle cd. vittime del dovere, in relazione alla patologia tumorale (leucemia linfoblastica acuta) che aveva portato al decesso il sottoufficiale.

Il TAR Lazio accoglieva il ricorso, ritenendo le valutazioni della CTU dirimenti in ordine all’esistenza del nesso di causalità tra la malattia e le condizioni di lavoro. Avverso tale pronuncia il Ministero proponeva appello.

Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza impugnata, rigettava il ricorso di primo grado. Nello specifico, premesso che la Commissione Medica dell’Ospedale Militare di Taranto aveva riconosciuto la malattia del dipendente per causa di servizio con giudizio favorevole alla corresponsione dell’equo indennizzo e alla pensione privilegiata, il Consiglio di Stato accoglieva il gravame sul rilievo che doveva escludersi che l’attività espletata rientrasse fra quelle ascrivibili a condizioni ambientali ed operative “particolari” per l’attribuzione dei benefici previsti per le “vittime del dovere”.

Il ricorso in Cassazione

I congiunti del Militare ricorrono in Cassazione e denunziano violazione del limite esterno di giurisdizione, eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento dalla giurisdizione di legittimità, violazione dell’art. 8 cod. proc. amm.

Deducono, in sintesi, il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in quanto la questione oggetto del giudizio sarebbe devoluta al Giudice ordinario per consolidata giurisprudenza di legittimità, oltre al fatto che il Giudice amministrativo avrebbe invaso la giurisdizione del Giudice ordinario in materia di status (art. 8 cod. proc. amm.). Secondo la tesi dei ricorrenti, le modalità con cui il Consiglio di Stato avrebbe deciso la causa, facendosi Giudice del merito (per di più a fronte di un appello che contestava tale modalità nella sentenza di primo grado) implicano un evidente superamento dei suoi poteri, in relazione alle materie su cui ha giurisdizione, in una materia – lo “stato” di vittima del dovere – attribuita al Giudice ordinario.

Il ricorso è inammissibile (Cassazione civile, Sezioni Unite, 27/12/2023, n.36069).

Risulta già affermato che il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il Giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicché non può validamente prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all’esito del giudizio di secondo grado, perché tale questione non dipende dall’esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal petitum sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice.

Tale considerazione esclude, a monte, che possa in Cassazione porsi la questione della giurisdizione.

Di fronte ad una sentenza di rigetto della domanda non è ravvisabile una soccombenza dell’attore anche sulla questione di giurisdizione: rispetto al capo relativo alla giurisdizione egli va considerato a tutti gli effetti vincitore, avendo il Giudice riconosciuto la sussistenza del proprio dovere di decidere il merito della causa, così come implicitamente o esplicitamente sostenuto dallo stesso attore, che a quel Giudice si è rivolto.

La giurisdizione del giudice

L’attore non è legittimato a contestare il capo sulla giurisdizione e a sostenere che la potestas iudicandi spetta ad un Giudice diverso, appartenente ad un altro plesso giurisdizionale.

Oltre a ciò, le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato non attengono alle ipotesi di diniego o affermazione della giurisdizione da parte del Consiglio di Stato, ma riguardano le modalità di esercizio del potere giurisdizionale riservato al Giudice amministrativo.

In realtà, nel caso in esame, non vi è stata alcuna invasione o sconfinamento avendo il Consiglio di Stato definitivamente pronunciato (anche quanto ai presupposti della equiparazione alle “vittime del dovere” prevista dal D.P.R. n. 243 del 2006, artt. 1 e 3 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563) nei limiti della giurisdizione relativa come già oggetto di giudicato.

Conseguentemente il ricorso è inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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