L’attività lavorativa svolta dal ricorrente, in un contesto caratterizzato da carenza di personale e da un numero elevatissimo di pazienti, ha avuto un ruolo almeno concausale nell’insorgenza delle patologie diagnosticate (Tribunale di Cosenza, Sez. Lavoro, Sentenza n. 1808/2021 del 18/10/2021 RG n. 4667/2018)
Il Medico conviene a giudizio l’Inail e deduce di avere lavorato presso l’Azienda Sanitaria di Cosenza dal 2005 fino al mese di novembre del 2015, quando era stato trasferito presso l’ambulatorio, a seguito delle conseguenze di un infarto del miocardio da cui era stato colpito il 9 febbraio 2015. Indica di essere stato costretto nel periodo sopra indicato da un surmenage lavorativo, direttamente connesso ai problemi organizzativi della struttura cui prestava servizio, conseguenti ad una riorganizzazione del sistema sanitario regionale, cui era sotteso l’obiettivo di garantire un contenimento della relativa spesa.
Deduce, inoltre, che a causa del depotenziamento e della soppressione di altre strutture, egli si era trovato a svolgere le proprie delicate mansioni in un P.S. con un numero effettivo di medici in servizio particolarmente ridotto (14) e con una utenza sempre crescente (in ragione della rilevata assenza nel territorio di altre strutture), circostanze che avevano comportato un orario annuo pari a 1490 ore per un numero massimo di pazienti all’anno per ogni medico pari a 3000.
Per tali ragioni eccepisce la sussistenza di un nesso eziologico tra il surmenage lavorativo e l’infarto del miocardio da cui è stato colpito e chiede affermarsi la natura professionale della patologia, per una “invalidità permanente” quantificata in misura pari al 40% di riduzione dell’integrità psico -fisica.
Le doglianze sono fondate: dall’esame testimoniale è emersa la gravosità dell’attività lavorativa svolta dal ricorrente.
La nota dell’Azienda Sanitaria del 6 marzo 2014 rivela che “l’analisi degli indicatori evidenzia condizioni organizzative con sicura presenza si stress correlato al lavoro”.
Dalla Cartella Sanitaria e di Rischio redatta il 15.02.2014 ai sensi dell’All. 3 A del D.lgs. 81/2008 risulta che il ricorrente era affetto da ipertensione arteriosa in terapia da 7 anni.
Nell’ ordinanza a firma del Sindaco di Cosenza si richiama la nota dell’Azienda nella quale si afferma che la dotazione organica del Presidio “così come prevista dalle Linee Guida nazionali della Società Italiana di Medicina d’Urgenza Decreti Regionali – e facendo riferimento al numero delle prestazioni effettuate nel 2013 e cioè 94.000 (tra i più alti d’Italia) – dovrebbe annoverare un numero minimo di 31 medici e 50 infermieri, a fronte dell’attuale dotazione che è di soli 23 medici (di cui 9 inidonei, cioè non utilizzabili nella turnazione) e 38 infermieri professionali.
La turnazione, quindi, è garantita da sole 14 unità mediche e ciò è stato confermato dai testi escussi.
Il CTU, ha diagnosticato che il Medico è affetto da “cardiopatia ischemica cronica; Esiti di IMA non Q già trattato con PCI + stent su IVA e D2; ipertensione arteriosa; retinopatia ipertensiva”.
Il Consulente ha evidenziato che l’attività lavorativa svolta dal ricorrente, in un contesto caratterizzato da carenza di personale e da un numero elevatissimo di pazienti, ha avuto un ruolo almeno concausale nell’insorgenza delle patologie diagnosticate, evidenziando che , tenuto conto della letteratura scientifica in materia “tale concausalità si verifica allorché nel processo evolutivo della malattia si innescano in maniera prevalente elementi soggettivi ed oggettivi al servizio: l’analisi dei dati raccolti e soprattutto derivanti dalle documentazioni in atti circa le mansioni ed i compiti svolti dal ricorrente, anche in base alle attestazioni presenti in atti redatte dalle strutture della Azienda, ed in stretta relazione alle concrete caratteristiche quantitative, qualitative, modali, cronologiche e ambientali del lavoro svolto ci consente di ritenere, con ragionevole certezza, l’esistenza di un ruolo causale o concausale specifico ed efficiente dell’attività lavorativa prestata nel determinismo delle infermità rilevate nel periziato, con una riduzione dell’integrità psico-fisica valutata in termini di danno biologico nella misura del 28%”.
Il Giudice condivide le valutazioni del CTU e, trattandosi di danno biologico superiore al 16% dichiara sussistente il diritto del ricorrente al riconoscimento della rendita per inabilità permanente, ai sensi dell’art. 13 del D.lgs. n. 38/2000.
Conseguentemente, l’Inail è tenuto a costituire una rendita per inabilità permanente pari al 28 %, oltre al pagamento dei ratei maturati e maturandi e degli interessi legali dal 121 giorno dall’insorgenza del diritto.
Le spese di lite e di CTU vengono poste a carico dell’Inail.
Avv. Emanuela Foligno
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