I Giudici di merito accertano la malattia professionale “carcinoma per esposizione a fibre di asbesto” presenti sul luogo di lavoro. La Corte di Cassazione conferma le decisioni di merito (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 26 marzo 2025, n. 8064).
Importane obiter della Cassazione: la presenza di fibre aerodisperse di amianto, non esclusa dal mancato raggiungimento del valore soglia, pari a 20 ff/l richiesto per la configurazione di una situazione di rischio inquinamento ambientale ai sensi del decreto ministeriale, è rilevante ad altri fini, ma inidonea ad incidere sulla verifica del nesso di causalità tra l’esposizione e la malattia professionale.
La Corte di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado che, accertata la origine professionale della malattia professionale (carcinoma per esposizione a fibre di asbesto presenti sul luogo di lavoro) denunciata dal lavoratore, ha condannato l’INAIL al pagamento delle prestazioni dovute ex lege in relazione ad una lesione permanente dell’integrità psico fisica pari al 16% e Poste Italiane s.p.a. quale ex datrice di lavoro al pagamento del danno differenziale quantificato in 68.274,58 euro.
Poste Italiane si rivolge alla Corte di Cassazione
Poste Italiane lamenta di essere stata ritenuta provata la esposizione qualificata del lavoratore alle fibre di asbesto presenti nel luogo di lavoro. Inoltra denunzia in particolare errata applicazione del principio di non contestazione, violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato.
La Cassazione rigetta tutte le censure.
La S.C. evidenzia che i Giudici di merito hanno fornito, con articolata argomentazione che ha tenuto conto di tutte le doglianze formulate da Poste Italiane s.p.a., e hanno ritenuto che gli elementi in atti consentivano di ritenere sufficientemente raggiunta la prova della nocività dell’ambiente di lavoro, con particolare riferimento al tema delle mansioni espletate dalla vittima, richiamate le caratteristiche costruttive dell’edificio, hanno ritenuto che ai fini di causa ciò che rilevava era lo svolgimento, a tempo pieno, all’interno dell’ufficio postale delle mansioni di sportellista, circostanza non contestata dalla società.
La nocività dell’ambiente di lavoro
Quanto argomentato da Poste Italiane non scalfisce l’accertamento alla base del decisum, accertamento che nei suoi profili fattuali è peraltro coperto da doppia conforme ex art. 348-ter ultimo comma c.p.c. all’epoca vigente.
Non vi è stata alcuna violazione del principio di non contestazione, in quanto il Giudice di appello, considerate le caratteristiche costruttive dell’edificio e venendo in rilievo un’ipotesi di esposizione da deterioramento dei pannelli contenenti amianto utilizzati all’interno dell’ufficio postale per realizzare soffitto e controsoffitto nonché pareti interne e perimetrali, in relazione alle mansioni svolte dalla vittima, era sufficiente la semplice allegazione delle mansioni di sportellista a tempo pieno, circostanza non contestata da Poste Italiane e comunque ricavabile anche dall’esame testimoniale dei colleghi di lavoro.
Nesso di causalità tra l’esposizione e la malattia professionale.
Tutte le ulteriori argomentazione di Poste esprimono un mero dissenso valutativo rispetto alle conclusioni tratte dalla Corte di merito dagli elementi istruttori in atti, ritenuti convergenti nel fondare un giudizio di sufficiente certezza della nocività dell’ambiente lavorativo per la presenza di fibre aerodisperse di amianto, non esclusa dal mancato raggiungimento del valore soglia, pari a 20 ff/l richiesto per la configurazione di una situazione di rischio inquinamento ambientale ai sensi del richiamato decreto ministeriale, rilevante ad altri fini, ma inidonea ad incidere sulla verifica del nesso di causalità tra l’esposizione e la malattia professionale.
Nello specifico, pur non essendo stato raggiunto il valore soglia di 20 ff/l comunque dai campionamento eseguiti negli anni 1999/2009 erano state rilevate concentrazioni pari a circa 11/12 ff/l, valori di media entità che valutati insieme ad altri elementi istruttori risultavano significativi ai fini della complessiva prova sulla nocività dell’ambiente di lavoro nel lungo periodo.
di merito consegue la inconfigurabilità in radice delle denunziate violazioni di norma di diritto; in particolare non è dato rinvenire nel ragionamento decisorio la violazione del principio di equivalenza causale avendo il giudice di appello, con accertamento di fatto ad esso istituzionalmente riservato e non più rivedibile in questa sede, escluso concreto rilievo al tabagismo e la esistenza di altri fattori in tesi concorrenti della produzione dell’evento.
La Suprema Corte rigetta il ricorso.
Avv. Emanuela Foligno
Leggi anche: